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Aurelio Picca «Arsenale di Roma distrutta»
«Leggendo le pagine trucide e amorose di Picca – uno dei suoi libri più riusciti, visceralmente sofferto – si riscopre il fascino (mostruoso) di una città che sempre cambia e sempre si ripete, ma prediligendo quella di chi non vuole cambiarla, “perché non era capitale di niente” ma “solo la femmina del mondo infame”».
Goffredo Fofi, «Internazionale»
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«Di una Roma così raramente si legge, certo c’è stato Giuseppe Gioacchino Belli con la sua plebe – però altri tempi; oppure, sul piano cronistico, Massimo Lugli con i suoi attenti resoconti. Il caso Aurelio Picca è diverso perché la Roma di cui narra in questo Arsenale di Roma distrutta è sì quella delle plebe e della malavita, filtrata però dalla fantasia e dalla lingua aspra d’uno scrittore eccentrico nel panorama italiano». Così Corrado Augias inizia la sua appassionata recensione del nuovo libro di Aurelio Picca, su «il venerdì – la Repubblica».
In Arsenale di Roma distrutta è la capitale la protagonista di questo viaggio autobiografico e topografico che offre al lettore, con un linguaggio e uno stile a volte nudo e crudo, personaggi e luoghi di una città che non finisce mai di decadere e risorgere.
Magnifica e infame la Roma di Picca, com’è sempre stata. Poiché parlo di un libro aggiungo: pagine che volano sotto gli occhi Corrado Augias, «il venerdì – la Repubblica»
Come un menestrello, l'autore celebra vie e piazza in cui le voci si confondono: c'è Roma all'alba, quella del mercato di via Montebello, c'è il caffè Tazza d'Oro, il teatro Volturno… «I brevi capitoli di Picca corrono sghembi e imprevedibili verso un assoluto che è al di là di ogni colore locale, di ogni scrupolo di verosimiglianza, di ogni rassicurante sociologia. La Roma di Picca, insomma, possiede in tutto e per tutto la consistenza dell’immaginario» (Emanuele Trevi, «Corriere della Sera»).
Nel libro emergono dal passato, vivi e potenti, personaggi come Chinaglia o Benvenuti, Renatino De Pedis e la Banda della Magliana; l'autore mescola artisti e criminali, poeti e attori, prostitute e garzoni, tutti vivi nella luce della città eterna di cui l’autore ci «ha lasciato un’immagine di rara potenza emotiva, metafisica e carnale al tempo stesso, che difficilmente i lettori potranno dimenticare» (Emanuele Trevi, «Corriere della Sera»).
Il linguaggio di Picca nasce dall’incontro con «Bataille e Blanchot, Rimbaud e Verlaine; ma anche Domenico Rea e Luciano Bianciardi: gente che ha passato il tempo a demolire la propria biografia. E ho capito che quello era il mio stile, l’unica via possibile tra letteratura e vita» (Aurelio Picca intervistato da Antonio Gnoli, «Robinson – la Repubblica»).
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2018AURELIO PICCA Una Roma come non l'avete mai vista: gaglioffa e vitalistica, regina e femmina di malaffare.E uno scrittore estremo, spietato, l'«Henry Miller dei Castelli Romani», che ne fa un ritratto assoluto. Quello di una città che non finisce mai di decadere e risorgere.Roma è...