Giulio Einaudi editore

Marco Balzano

Dal Café Royal prima o poi ci passiamo tutti: genitori e figli, donne indaffarate, coppie di amanti e adolescenti spaesati. Davanti al bancone si srotolano relazioni da aggiustare e nuovi incontri, una galleria degli specchi in cui ciascuno può sorprendersi riflesso. Come spesso accade nelle grandi città, i personaggi di questo imprevedibile romanzo corale s'incrociano ogni giorno, si salutano, a volte si confidano e altre si ignorano. Forse non ne sono consapevoli, ma insieme formano una comunità.

Un libro fresco, vivo, incredibilmente contemporaneo, pieno di snodi, inciampi e possibilità. Storie che corrono a perdifiato, dove le traiettorie della vita s'intrecciano con i capricci del destino: un bar di Milano come il centro del mondo.

Dopo il successo di Resto quiQuando tornerò, Marco Balzano continua a fare quello che gli riesce meglio: ci convoca, mostrandoci come siamo davvero.

«Con la scrittura cristallina che gli ha fatto vincere innumerevoli premi, l'autore di Resto qui e Quando tornerò compie un'operazione analoga. C'è molto che non vediamo nelle vite dei suoi attori, alla fine di questo romanzo fulminante, eppure siamo lo stesso appagati. Come se, insieme a loro, avessimo bevuto il mondo in un caffè».
Enrico Franceschini, «la Repubblica»

«Ogni libro di Marco Balzano è pieno di fresca umanità. Di attenzioni alle cose della vita personali e collettive».
Gino Ruozzi, «Domenica – Il Sole 24 Ore»

«Basta leggere qualche riga di Café Royal per provare quell'eccitazione propria che dà la letteratura. Un romanzo corale, la cui struttura è una sfida riuscita. Ogni capitolo, uno sguardo sul mondo».
Lorenza Gentile, «Tuttolibri – La Stampa»

«Lo scrittore ce li fa guardare da vicino i suoi splendidi attori incastonati nel sipario del Café Royal. Sembra quasi di spiarli, e forse per questo non vorremmo lasciarli alla fine del romanzo, ma continuare a seguirli».
Annachiara Sacchi, «Corriere della Sera»

«Balzano riesce molto felicemente a calarsi nell'anima dei suoi innumerevoli comprimari, comprendendo le ragioni di ognuno. Alcune storie sono scritte in prima persona altre in terza, ma non fa differenza: l'adesione è totale. E spostandoci di vertice in vertice, di storia in storia, riusciamo a capire come la realtà abbia poco di oggettivabile e come lo scrittore abbia in seno il dono di far coesistere gli opposti contemporaneamente».
Valentina Berengo, «Il Foglio»

«Dopo le poesie di Nature umane, in cui affiorava la sua capacità di cogliere nel dettaglio, anche con meraviglia, la molteplicità e l’ambiguità dell'esserci, Balzano torna con efficacia alla narrativa inoltrandoci in un territorio dove i vari colori e caratteri dei personaggi e delle loro anonime avventure divengono tracce, insieme minime ed esemplari, dell'umana condizione nella realtà del nostro tempo».
Maurizio Cucchi, «il venerdì – la Repubblica»

«Pagina dopo pagina, quelle voci, che all'inizio sembravano stonate e separate le une dalle altre, iniziano ad accordarsi e intrecciarsi. Il risultato è una melodia capace di riannodare e raccontare i fili nascosti delle vicende di donne e uomini che, avendo smarrito il bicchiere di cristallo, si trovano a bere la vita da quello di vetro».
Carlo Carù, «Il Foglio»

Deepti Kapoor

Sono amati da alcuni, odiati da molti, temuti da tutti. I Wadia controllano trasporti, miniere, zuccherifici. Ma è con la speculazione edilizia che stanno consolidando il loro impero. Ora però le proteste di chi viene sfrattato montano e il «Delhi Post» sta indagando per fare esplodere lo scandalo. Grazie al carisma e alla determinazione, Neda è riuscita a insinuarsi nella cerchia di Sunny Wadia, il rampollo destinato a prendere in mano le redini della famiglia. Ma invaghirsi di una giornalista come lei è una debolezza che a Sunny potrebbe costare molto cara. Il compito di scongiurare la rovina spetterà ad Ajay, ragazzo di origini poverissime, autista, tuttofare, guardia del corpo e, all’occorrenza, vittima sacrificale.

L'età del male di Deepti Kapoor, primo volume di una trilogia, è stato «il caso della fiera del libro di Francoforte» (Alessia Rastelli, «Corriere della Sera) ed è tradotto, o in via di traduzione, in più di 30 Paesi. Presto diventerà anche una serie tv.

«Deepti Kapoor ha tratteggiato un dipinto preciso e puntuale di una situazione drammatica […] Tranne le storie dei protagonisti, è tutto vero: questo mondo corrotto e avido è l’India che Kapoor conosce. Per gli Indù è Kali Yuga, l’ultima età, l’età del vizio contro la quale qualsiasi sforzo è futile. È un’epoca senza dèi, dominata da uomini corrotti dall’ateismo e dal potere accumulato. È una condanna, una dannazione. Chi attraversa l’ultima era del ciclo induista non si rende conto di non avere più risorse: è confuso dal benessere. Forse è proprio per questo che non si può definire L’età del male un thriller, perché, benché sia il primo capitolo di una trilogia, non può giungere a una conclusione. “Il male”, come scriveva Cormac McCarthy, “Non ha un inizio e non ha una fine. Il male è, e noi siamo in relazione a esso”».
Giulio D’Antona, «tuttolibri – La Stampa»

«L’età del male è un affresco potentissimo, affascinante e violento di come gli universi del nostro mondo girino vorticosamente e senza scampo attorno al denaro, che diventa il nucleo, il nocciolo radioattivo di emozioni, aspirazioni, sentimenti, incubi e sogni di tutti, dagli emarginati che stanno addirittura oltre i bordi della società, intoccabili senza casta, fino a quelli che ci stanno al centro, anzi, sopra, con lo sfarzo e la potenza di antichi maraja. Bravissima Deepti e bellissimo L’età del male. […] Nonostante tutta la feroce disperazione che contiene, nonostante la sua disturbante violenza, questo è anche un romanzo spesso ironico e sicuramente divertente. Come Deepti ci sia riuscita è frutto di quella magia che appartiene ai grandi scrittori».
Carlo Lucarelli, «Corriere della Sera»

«Pagine imbevute nell’adrenalina di un viaggio nel sottobosco del crimine, nella politica corrotta e tra le speranze disattese dei nullatenenti del nord dell’India. Ma è anche un’escursione antropologico nella “New India” di vent’anni fa, epoca in cui è ambientato il primo tomo di un’attesissima trilogia […] Quanta lucidità e capacità di narrare con un linguaggio semplice, avaro di aggettivi, con frasi brevi: soggetto, predicato verbale, complemento oggetto, punto. Poche, rapide descrizioni per dare vita a personaggi come Ajay e Sunny, ma soprattutto come quello più autobiografico, Neda Kapur, la reporter che s’invaghisce del figlio del boss criminale, che diventa la Eco di questo gangster Narciso e viene avviluppata in una ragnatela da cui sarà complicato uscire, pagando in un certo senso un prezzo di sangue per questa relazione pericolosa».
Carlo Pizzati, «la Repubblica»

«Un romanzo prorompente che vi trascinerà nei bassifondi di Delhi».
The New York Times

«Giorni con un dilemma orribile: divorarlo o centellinare i capitoli per farlo durare?»
The Washington Post

Ricordo, la strada, non è un paese per vecchi, oscar, pulitzer, Cormac McCarthy
© Beowulf Sheenan

A volte la morte è generosa. A noi quella di Cormac McCarthy ha lasciato il tempo delle sue ultime parole: sarebbe bastata una manciata di mesi e il capitolo finale del suo lavoro – Il passeggero e la sua storia sorella Stella Maris, che pubblicheremo il prossimo settembre – non avrebbe preso vita durante quella del suo autore. Un capitolo finale che concentra almeno un quindicennio di elaborazioni intorno alla storia tragica di Bobby e di Alicia Western, e che è insieme una summa, uno slancio e un rimpianto: cerchio, linea e punto.

La coppia Il passeggero-Stella Maris segue il perimetro della scrittura di McCarthy, fa visita ai suoi personaggi più antichi e recenti, dai Rinthy e Culla di Il buio fuori al Ragazzo – il Kid – del Meridiano di sangue al Bianco e Nero di Sunset Limited, ripesca con nuovi ami nel bacino della sua cosmogonia, e chiude il cerchio là dove tutto è cominciato, a Knoxville, in quel sottomondo di vitalistici reietti ed esilaranti svirgolati che McCarthy ci ha regalato una volta e per sempre in Suttree, a cui Il passeggero è legato in un intimo e nostalgico abbraccio.

La linea, in quest’ultimo capitolo, punta all’oltre, e in alto. Si radica nel buio delle profondità subacquee e dell’inconscio silenzioso, casa di paure e pericoli in agguato, attraversa e sgretola il fango del mondo noto, e buca la membrana di ciò che è materiale in cerca di uno sbocco etereo e forse divino. La linea di questi romanzi è una lancia puntata verso nuovi orizzonti, narrativi e perfino spirituali. Il McCarthy del Passeggero e di Stella Maris è un mistico carnivoro.

Lo slancio per sfuggire al confine include la sua stessa arte. Com’è noto, Cormac McCarthy ha trascorso molta parte degli ultimi anni nel tempio delle scienze esatte del Santa Fe Institute, unico scrittore ammesso in un cenacolo di matematici, fisici e astronomi, e dei loro campi di azione ha respirato il fascino e il mistero. Con Il passeggero porta dentro la sua scrittura la materia arcana delle discipline dure, di cui contempla l’irriducibile bellezza, «informandola – come nota la traduttrice della diade, Maurizia Balmelli, – in un movimento prosodico che ha del rituale, anzi del liturgico, e che di quella materia allarga ed eternizza il respiro». Giustapponendo questo respiro al limite insito nel linguaggio, McCarthy sembra quasi voler dare scacco al se stesso scrittore, che dentro quel limite deve lavorare. Ma quella che leggiamo, paradossalmente, meravigliosamente, è proprio la rivincita dello scrittore. Attraverso quella creazione di genio che è il personaggio del Kid, McCarthy ci dimostra che anche la scienza, nelle sue mani, diventa un miracolo di affabulazione, e solo grazie a questo riesce a suggerirci una sua superiorità.

«La lingua del Kid, – osserva ancora Maurizia Balmelli – specchio deformante, sorta d’incarnazione dell’inconscio della protagonista, è stratificata e anacronistica come solo potrebbe essere quella di un’entità che superi i confini dell’umano. E tuttavia, anche entro i confini dell’umano, i dialoghi mccarthiani conservano una portata metafisica. A un tratto siamo su una piattaforma petrolifera e si fanno iperralistici, e per venire a capo dei vuoti, delle sospensioni, devo andare fino in Congo, e affidarmi alla perizia di chi su una piattaforma ci lavora». Le piattaforme petrolifere, le corse di automobili, le immersioni subacquee, la meccanica quantistica, l’amore proibito, le armi automatiche, il gioco di parole: non c’è limite all’esattezza quasi biunivoca del lessico di McCarthy, alla competenza delle sue descrizioni, al gusto di un’estensione verbale che riflette quella dei mondi a cui attinge; ma la ricerca della giusta espressione non trabocca in sovrabbondanza. La parola perfetta è solo una, a volte meno di una: Il passeggero celebra ad ogni riga, giù fino alla contrazione della punteggiatura, la promessa contenuta nell’ellissi.

Rimane solo il punto ora. L’immagine del punto, dopo quella del cerchio e della linea, per l’ultimo capitolo dell’avventura mccarthiana è autoevidente, ed è per noi: è il punto fermo della fine delle storie, anche di quelle lunghe e intense come questa. È il rimpianto che si porta appresso. Bobby Western ci ha accompagnato fino al tramonto di un figlio inimitabile di quell’Occidente americano che profeticamente si porta nel nome. Chi o cosa abbia accolto quel figlio, non è dato sapere. «Lo so eccome – mi contraddice Cormac McCarthy dalle pagine del suo Sunset Limited –. So cosa mi aspetta e so chi mi aspetta. Non vedo l’ora di strofinare il naso contro la sua guancia ossuta. Sicuramente sarà sorpresa di vedersi trattata con tanto affetto. E mentre la abbraccio forte le sussurrerò all’orecchio secco e antico: Eccomi qui. Eccomi qui». Forse l’ultimo capitolo che ci ha consegnato contempla la minuscola possibilità di un’estrema sorpresa.

Cormac McCarthy

Nel cuore di una fredda notte del 1980, Bobby Western indossa la sua muta da sommozzatore e si tuffa nelle nere profondità della baia del Mississippi. Laggiù scorge il profilo di un aereo con nove corpi in cabina, gli occhi vuoti e le braccia protese verso un gelido abbraccio. Che fine ha fatto il fantomatico decimo passeggero? Quali oscure macchinazioni cela la sua scomparsa? Dolente viandante del mondo da sempre braccato dalla perdita e dalla colpa, ora Bobby deve tornare a fuggire, inseguendo la libertà e il ricordo di una donna per sempre irraggiungibile.

Dopo un silenzio durato 16 anni, Cormac McCarthy ci stupisce e conquista con un’opera di disperata bellezza e apicale bravura. Il passeggero, primo romanzo di una diade che si completerà con la pubblicazione di Stella Maris nel settembre 2023, è stato uno dei libri più attesi dell’ultimo decennio. E l’attesa, secondo la critica e il pubblico, è stata ampiamente ripagata:

«L’inconscio è più antico del linguaggio. Molto più antico. È un concetto su cui Cormac McCarthy torna spesso. Il passeggero è un libro splendido, e a questo tipo di riflessione deve molto».
Nicola Lagioia, «Lucy» (link)

«È pericoloso maneggiare un nuovo libro di McCarthy. Perché porta con sé la pazienza con cui è stato scritto e per il segreto che avvolge questo cowboy delle lettere, forse il più grande degli scrittori viventi. […] Abbiamo tra le mani un libro sugli amori che non si arrendono alla memoria. Ed è un libro di McCarthy, e di Cormac, le due personalità narrative dell'autore che sfiatano una prosa calcificata nella terra e una ricerca di amore sospesa. Si può leggere come una specie di thriller con lunghi dialoghi a disinnescare le tensioni, oppure come un viaggio fisico e spirituale verso la rotta che ci spetta. Se scegliamo la seconda via, dobbiamo sapere che si tratta di ferite a morte».
Marco Missiroli, «la Lettura – Corriere della Sera»

«Cormac McCarthy mostra con questo straordinario romanzo di sapersi inoltrare come pochi nelle pieghe più oscure dell'animo umano, spingendosi lì dove occorre avere un grande coraggio oltre a una scrittura che da tempo ha raggiunto una qualità stilistica tale da elevarlo senza alcun dubbio tra i classici […] McCarthy intesse così un romanzo capace di inchiodarci alla pagina come un thriller e allo stesso tempo di sollevare questioni fondamentali, facendoci interrogare sulla nostra natura, di più: sulla nostra (in)capacità di comprendere il mistero stesso della vita».
Giuseppe Culicchia, «tuttolibri – La Stampa»

«Il Passeggero è una perla preziosa che ogni lettore deve andarsi a prendere, pagina dopo pagina, nelle profondità dell'abisso. Non sarà semplice, talvolta rischierete di perdervi ma alla fine, fra le dita, vi resterà polvere di stelle, residui di vera letteratura».
Francesco Musolino, «Il Messaggero»

«È la profondità dell'oscurità a spaventare Bobby Western, l'uomo tormentato al centro del nuovo straordinario romanzo di Cormac McCarthy […] La scrittura di McCarthy è potente, inebriante […] Questo romanzo è un glorioso canto del tramonto».
Xan Brooks, «Internazionale – da The Guardian»

«La lingua di Il passeggero è qualcosa di nuovo, diverso: più semplice e diretta rispetto alle opere passate, ma in qualche modo evidentemente misurata, calcolata, nella quale nessun segno di punteggiatura è lasciato al caso ma si ha il sospetto che ogni minimo particolare, ogni fluttuazione della voce, abbia un significato a sé stante. “Per ogni accento che manca, sembra esserci un pensiero di giorni”, come scriveva John Jeremiah Sullivan sul New York Times».
Giulio D’Antona, «Domani»

«Come sostiene Raul Montanari, la narrativa di McCarthy è “un inferno darwiniano dove sopravvivere è il fine primario”. Le sue pagine – per richiamare Baricco – “adottano l'orizzonte epico del western” per mostrare l'uomo sedotto dalla violenza eppure affamato di sacro».
Crocifisso Dentello, «il Fatto Quotidiano»

«…Passerà il nostro tempo e noi con esso. Di noi, di noi oggi, resteranno alcune testimonianze, dei lasciti. Uno di questi è Il passeggero di Cormac McCarthy. Potrei scrivere di altro, ma non riesco a pensare ad altro da quando l'ho letto e il motivo non è riassumibile nella trama, ma nelle vette di pensiero che toccano i personaggi del romanzo. La mia copia è tutta sottolineata».
Ray Banhoff, «L’Espresso»

«Il passeggero, cioè, è un romanzo sapienziale, in cui McCarthy convoca i suoi eroi, trasognati «il Kid» e la cricca di felliniani freaks provengono da Meridiano di sangue; Bobby Western, il protagonista, ha la stessa stoffa del John Grady Cole di Cavalli selvaggi; l'amore tra i fratelli ricalca quello, di tenebrosa violenza, narrato in II buio fuori, per redigere una sorta di memorabile, ghignante requiem».
Davide Brullo, «il Giornale»

Il 7 giugno, dal Teatro Romano di Benevento, è stata annunciata la cinquina finalista della LXXVII edizione del Premio Strega. Fra i titoli c’è Dove non mi hai portata di Maria Grazia Calandrone, uscito a ottobre del 2022 nei Supercoralli.

Il libro era stato presentato da Franco Buffoni:

«Propongo la candidatura del romanzo Dove non mi hai portata di Maria Grazia Calandrone per due fondamentali motivi: la tenuta stilistica che non viene mai meno nelle 247 pagine del volume; la capacità dell’autrice di coinvolgere il lettore in una vicenda storica e umana al calor bianco.
Già due anni fa con Splendi come vita, edito da Ponte alle Grazie, Maria Grazia Calandrone aveva visto pienamente riconosciute le proprie doti di narratrice, ben figurando nella dozzina del Premio Strega.
Con questa nuova prova narrativa l’autrice, ben nota da decenni come indiscutibile voce poetica, non solo conferma le qualità di narratrice di razza allora poste in luce, ma le corrobora con una magistrale ricostruzione storica dell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta: riuscendo a ricostruire ambienti e situazioni (il Molise rurale, la periferia milanese in pieno boom economico, Roma magica di altera e sconsolata bellezza) in modo altamente poetico pur se finemente realistico, e dando dei propri genitori biologici tesi verso una tragica fine un ritratto nitido, al contempo profondamente partecipe, ferocemente oggettivo e emblematico nella sua attualità».

L’elezione del libro vincitore si svolgerà il 6 luglio al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.

Gli altri candidati:

Andrea Canobbio, La traversata notturna (La nave di Teseo)
Ada D’Adamo, Come d’aria (Elliot)
Romana Petri, Rubare la notte (Mondadori)
Rosella Postorino, Mi limitavo ad amare te (Feltrinelli)

Premio Campiello 2023

Il 26 maggio è stata annunciata la cinquina finalista del Premio Campiello 2023. Due i titoli Einaudi presenti:

Centomilioni di Marta Cai, uscito l’11 aprile negli Unici.

Può sembrare un amore, ma è una storia di violenza pronta a esplodere, incuneata in una pianura senza fine che impedisce per sempre di scollinare. Al centro Teresa, che nel suo diario si definisce «una zitellona di provincia, una signorina senza qualità». Vive ancora con i genitori, sommersa da una routine pantagruelica: giovedí ossibuchi, martedí trippa, il pesce solo quando è fresco. Poi arriva Alessandro, e il mondo s'infiamma di colpo. Alessandro, che è bellissimo, che vuole tutto e non ha niente. Armata di una lingua impietosa, lirica, umoristica, capace di spiazzare a ogni riga, Marta Cai passeggia tra le strade di una cittadina anonima e riesce a farci sentire lí, intrappolati tra schiere di villette, banchi del mercato e orizzonti lontanissimi. Con la certezza che da un momento all'altro accadrà qualcosa di terribile.

La Resistenza delle donne di Benedetta Tobagi, uscito il 25 ottobre 2022 nelle Frontiere.

Le donne furono protagoniste della Resistenza: prestando assistenza, combattendo in prima persona, rischiando la vita. Una «metà della Storia» a lungo silenziata a cui Benedetta Tobagi ridà voce e volto, a partire dalle fotografie raccolte in decine di archivi. Ne viene fuori un inedito album di famiglia della Repubblica, in cui sono rimesse al loro posto le pagine strappate, o sminuite: le pagine che vedono protagoniste le donne. La Resistenza delle donne è dedicato «A tutte le antenate»: se fosse una mappa, alla fine ci sarebbe un grosso «Voi siete qui». Insieme alle domande: E tu, ora, cosa farai? Come raccoglierai questa eredità?

«La letteratura continua a resistere – ha detto Walter Veltroni presidente della giuria dei Letterati – Il racconto resta una bussola nel caos. In un tempo frammentato, la letteratura invece unisce. Tra gli elementi comuni di questa edizione, l’attenzione alla storia e alle persone» («Corriere sella Sera, link).

Gli altri libri finalisti:
Diario di un’estate marziana (G. Perrone Editore) di Tommaso Pincio;
La Sibilla (Laterza) di Silvia Ballestra;
In cerca di Pan (nottetempo) di Filippo Tuena.

Il vincitore sarà proclamato il 16 settembre.

  • Marta Cai

    Centomilioni

    «Non essere crudele. Non essere sentimentale. Prova a provare davvero qualcosa».

    Può sembrare un amore, ma è una storia di violenza pronta a esplodere, incuneata in una pianura senza fine che impedisce per sempre di scollinare. Al centro Teresa, che nel suo diario si definisce «una...
    pp. 144
    € 14,50
  • Benedetta Tobagi

    La Resistenza delle donne

    Le donne furono protagoniste della Resistenza: prestando assistenza, combattendo in prima persona, rischiando la vita. Una «metà della Storia» a lungo silenziata a cui Benedetta Tobagi ridà voce e volto, a partire dalle fotografie raccolte in decine di archivi. Ne viene fuori un inedito album...
    pp. 376
    € 22,00

Nel suo ricordo di Martin Amis, apparso sul «New Yorker», Salman Rushdie ha citato una frase dell’amico scomparso, che sosteneva spesso di voler lasciare dietro di sé uno scaffale di libri, in modo da poter dire: “Da qui a qui, sono io”. L’immagine mallarmeana di un mondo (in questo caso una vita) che esiste per approdare a un libro risaliva, secondo Jorge Luis Borges, alla pagina dell’Odissea in cui “gli dèi tessono le disgrazie umane affinché alle future generazioni non manchi la materia del canto”. Borges, il cui “genio – diceva Amis – mi lascia senza parole” (una condizione difficile da immaginare per uno come lui che sembrava possedere sempre parole in abbondanza), non nasconde che quella omerica possa intendersi come una giustificazione estetica del male. È certo che al male in ogni sua declinazione Amis ha dedicato pagine indimenticabili per potenza di stile e ricchezza di linguaggio, guardando Medusa dritto negli occhi. Dal male assoluto del nazismo nella Zona d’interesse e La freccia del tempo, al male non meno assoluto dello stalinismo nella Casa degli incontri e in Koba il Terribile; dal male più circoscritto ma devastante di Lionel Asbo, un piccolo delinquente inglese divenuto celebrity, al male della volgarità della moderna società occidentale, non solo inglese, in Money e in molti altri suoi romanzi. Resta aperta la questione se questo mondo tragico e disgraziato trovi una qualche forma di redenzione in pagine di tanta forza e bellezza.

Oggi lo scaffale, e quindi l’autore, si completano con la traduzione italiana del suo ultimo libro, La storia da dentro, un testo che riprende il discorso iniziato con la sua autobiografia, Esperienza, ma che ne richiama anche altri meno direttamente autobiografici (anche se molto autobiografici) come La vedova incinta, il cui sottotitolo era appunto Dentro la Storia. La Storia dei grandi eventi e la storia individuale dei piccoli uomini non sono divise dallo spazio siderale che spesso immaginiamo: a unirle c’è la letteratura, che trasforma incessantemente l’una nell’altra; ci sono i libri in cui entrambe vanno inesorabilmente a finire.

Andrea Canobbio

Premio Strega Poesia

Il 18 maggio, al Salone Internazionale del Libro di Torino, sono stati annunciati i libri finalisti della prima edizione del Premio Strega Poesia.

Fra i titoli c’è Le Campane di Silvia Bre, uscito nella «Bianca» a gennaio del 2022.

«Dopo oltre settant’anni dalla sua nascita – commenta Giovanni Solimine, presidente della Fondazione Maria e Goffredo Bellonci – il Premio Strega, divenuto frattanto il più ambito e prestigioso riconoscimento letterario italiano, cui si sono aggiunte negli ultimi decenni altre manifestazioni dedicate alla letteratura europea, alla produzione editoriale per l’infanzia e l’adolescenza, ha deciso di misurarsi con quella che è forse la forma di più elevata della creazione artistica in ambito letterario. Nasce il Premio Strega Poesia e la cinquina dei finalisti inizia al Salone di Torino il lungo viaggio che si concluderà in autunno con la proclamazione del primo vincitore.»

Gli altri finalisti:

Autoritratto automatico, Umberto Fiori (Garzanti);
L’amore da vecchia, Vivian Lamarque (Mondadori);
Sotto falso nome, Stefano Simoncelli (Pequod);
Ballate di Lagosta, Christian Sinicco (Donzelli).

Il premio verrà assegnato il 5 ottobre a Roma, presso il Tempio di Venere e Roma all’interno del Parco archeologico del Colosseo.

Beatrice Salvioni

La Malnata è il primo romanzo di Beatrice Salvioni, già vincitrice nel 2021 del Premio Calvino racconti. È la storia di due ragazzine molto diverse tra loro e di un’amicizia indimenticabile nell'Italia del fascismo.

Il libro è diventato fin da subito un caso letterario e ha incantato gli editori di tutto il mondo: l’edizione italiana è uscita in concomitanza a quella francese, spagnola, bulgara, olandese, slovacca, romena e svedese. Attualmente è tradotto, o in corso di traduzione, in più di 30 lingue e arriverà anche negli Stati Uniti e in Germania.

Monza, marzo 1936: sulla riva del Lambro, due ragazzine cercano di nascondere il cadavere di un uomo che ha appuntata sulla camicia una spilla con il fascio e il tricolore. Sono sconvolte e semisvestite. È Francesca a raccontare in prima persona la storia che le ha condotte fino a lì. Dodicenne perbene di famiglia borghese, ogni giorno spia dal ponte una ragazza che gioca assieme ai maschi nel fiume, con i piedi nudi e la gonna sollevata, le gambe graffiate e sporche di fango. Sogna di diventare sua amica, nonostante tutti in città la considerino una che scaglia maledizioni, e la disprezzino chiamandola Malnata. Ma quella sua aria decisa, l’aria di una che non ha paura di niente, la affascina. Sarà il furto delle ciliegie, la sua prima bugia, a farle diventare amiche. Sullo sfondo della guerra di Abissinia, del dolore per la perdita e degli scompigli dell’adolescenza, Francesca impara con lei a denunciare la sopraffazione e l’abuso di potere, soprattutto quello maschile, nonostante la riprovazione della comunità.

La Malnata è un coinvolgente romanzo di formazione che sta conquistando anche il pubblico italiano e la critica:

«La protagonista “nata male”, che vediamo muoversi anzi scatenarsi nel racconto, è una minuscola incarnazione dell’inferno. Una di quelle scomode presenze che nel Medioevo verrebbero piazzate sul rogo […] Maddalena è un personaggio solido e caldo, che emerge dalle pagine con un respiro quasi percepibile in maniera concreta».
Leonetta Bentivoglio, «la Repubblica»

«La Malnata è, come L'amica geniale, un Bildungsroman e un inno all'amicizia e al suo potere dirompente».
Valentina Berengo, «Il Foglio»

«La Malnata, questo romanzo potente, crudele, scritto con una maestria che ha del vertiginoso, ci racconta cose serissime, mostrandoci il mondo degli adulti attraverso gli occhi neri di una ragazzina, piccoli e duri come una pietra scagliata contro il nemico».
Cristina De Stefano, «Elle»

«Ha un incipit sconvolgente ed è una storia di formazione e di amicizia che non risparmia il dolore e non nasconde le debolezze, la paura di schierarsi dalla parte di chi crede di essere il prescelto e perciò nel giusto. Francesca tentenna tra la libertà e la conformità, tra i pregiudizi della società che l'accoglie ma che poi le volta le spalle quando decide di scegliere la strada che ritiene giusta: l'amicizia al fianco della Malnata».
Isabella Fava, «Donna Moderna»

«La giovane scrittrice costruisce con voce inedita e convincente una vicenda di formazione personale e civile, dà vita a un affresco di personaggi dai toni chiaroscuri e a un ben oliato congegno narrativo, connotato da una scrittura affilata e dall'efficacia dei dialoghi».
Marzia Fontana, «Corriere della Sera»

«Attraverso le due amiche l'autrice racconta un popolo succube, un'Italia percorsa da grandi ambizioni ma con modesti risultati e brucianti sfaceli».
Francesco Mannoni, «Il Mattino»

«La Malnata, opera prima di Beatrice Salvioni, è tanti romanzi insieme. È la storia di un'amicizia tra due bambine che stanno per diventare donne, anzi femmine; è il racconto di uno spaccato sociale e politico dell’Italia degli anni Trenta in cui la violenza è alimentata dall'ipocrisia, quella dei piccoli paesi in cui dicerie e pregiudizi sono fonti di informazione qualificate. Ma è soprattutto un’indagine condotta sulle apparenze. Un “reportage”, in narrativa, su un pezzo della nostra storia che andrebbe dimenticato e raccontato allo stesso tempo, per quanto fa male, per quanto è necessario».
Marco Onnembo, «Domenica – Il Sole 24 Ore»

«Un romanzo potente che comincia con uno stupro sul greto del fiume e racconta la difficoltà di essere donna in un mondo sessista, ma anche come un’amicizia aiuti a opporsi all’ingiustizia. L’autrice, diplomata alla scuola Holden, ha una potente vocazione al racconto e nel 2021 ha vinto il Premio Calvino».
Brunella Schisa, «il venerdì – la Repubblica»

«È una storia vicina, ambientata in un fatto lontano ma irrisolto, quindi sempre presente: il fascismo. Salvioni ha usato il fascismo per vedere meglio il presente».
Simonetta Sciandivasci, «La Stampa»

«Questo romanzo si fa voler bene e Maddalena entra nella testa della gente per non uscirne più, come dice uno dei personaggi».
Carlotta Vissani, «il Fatto Quotidiano»

Antonella Lattanzi

Ci sono cose che non si raccontano perché le parole sono scogli nel mare. Ci sono cose che non si raccontano per vergogna, rabbia, troppo dolore, e perché se non le racconti, in fondo puoi sempre credere che non siano successe. Antonella e Andrea vogliono un figlio: adesso lo vogliono proprio, lo vogliono assolutamente. Ma è come se non ci fosse niente di semplice, nel desiderio più naturale del mondo: tutto ciò che può andare storto andrà storto, anche l'inimmaginabile.

Antonella Lattanzi ha trovato parole esatte per questa storia, che è sua e di tutte le donne - ambiziose, indecise, testarde, libere di scegliere. Un libro emozionante, che non si riesce a smettere di leggere, straordinariamente contemporaneo.

Il libro, uscito il 14 marzo nei Supercoralli, è stato subito accolto calorosamente dalla critica e dal mondo letterario:

«Antonella Lattanzi è una di quelle rare scrittrici che aiutano i maschi a intuire i segreti dell'anima femminile, del desiderio di maternità e del miracolo della riproduzione. Per farlo usa solo la verità, il talento e la lucida spietatezza di chi non teme nessuno».
Niccolò Ammaniti

«La scrittura di Lattanzi ha un ritmo trascinante e feroce, prende per mano il lettore e lo conduce nel suo mondo senza concedergli tregua. La spudoratezza del racconto personale è affiancata in ogni momento da uno stile magnetico che dona forza al magma delle azioni e dei pensieri della protagonista… Cose che non si raccontano è uno di quei libri che si scrive una volta nella vita ed è la conferma di una ottima scrittrice italiana».
Rossano Astremo, «il manifesto»

«Questo non è solo un romanzo: è un pezzo incandescente di vita. Vita nuda, cruda, vera, che ti afferra alla gola e ti toglie tutte le parole. Antonella Lattanzi le ha trovate, con immenso coraggio, con forza straordinaria, e le ha donate a tutti noi».
Silvia Avallone

«Lattanzi assalta il cuore e il cervello con un romanzo sul segreto indicibile di essere una donna che nasconde, rivela, soffre e scrive. E desidera. Quanto desidera! E quanto desidero anche io, grazie a questa donna, insieme a lei e alle sue cose che non si raccontano».
Annalena Benini

«Romanzo necessario e potente, vero e brutalmente onesto, sul desiderio di un figlio che non viene, sulle rotte che prendono certe esistenze, sul dolore di una donna che può essere di tante. Anzi, di tutte».
Chiara Oltolini, «Vanity Fair»

«L'autrice gestisce questa sua materia – gli eventi – in modo naturale ma anche con un forte elemento di thriller, un po' Stephen King ma soprattutto Shirley Jackson, senza bisogno di fare ricorso al soprannaturale».
Raffaella Silvestri, «Domani»

«Letto con l'unico sguardo di cui sono capace, quello maschile, il libro mi è sembrato insopportabile, imprescindibile, straordinario».
Domenico Starnone, «Corriere della Sera»

«Una storia di dolore fisico e mentale che pulsa in ogni rigo e che (cosa magnifica) sprigiona coraggio senza promettere lieto fine… Cose che non si raccontano è un bellissimo libro».
Bruno Ventavoli, «tuttolibri – La Stampa»