Giulio Einaudi editore

Marcello Fois

Con L’invenzione degli italiani Marcello Fois propone un’appassionante rilettura del classico, e spesso vituperato, Cuore di Edmondo De Amicis. Per lo scrittore, che da bambino parlava il sardo e si sentiva un po' come il ragazzino calabrese che entra, quasi da straniero, nella classe torinese, la lettura di questo «diario» è stata l'occasione per immergersi nella lingua italiana.

Lo stesso Fois, in una bella conversazione con Abraham Yehoshua, su «la Lettura – Corriere della Sera», ammette che «Cuore è stato il primo tramite linguistico nazionale con cui ho avuto a che fare sul serio perché per me l'idioma ufficiale è cominciato con le scuole elementari, quando sono passato dalla lingua intima, domestica, locale - il sardo - all'italiano. Non sempre le cose sono state lineari e dentro il libro Cuore erano espressi alcuni dei problemi che io avrei incontrato».

Cuore ha un valore normativo e linguistico, progetta il carattere del nostro popolo eludendo il negativo e spostando l'attenzione sul «buono». La sua scuola è l'opposto del mondo reale ed è, secondo Fois, un vangelo laico per il mondo di oggi, un vangelo senza preti e crocifissi, una vera scuola con intento formativo. «Non sempre, scrivendo, si riesce a fare della propria avventura umana, qualsiasi essa sia, a qualsiasi livello del tempo si collochi, una storia generale, addirittura collettiva, ma Marcello Fois ci riesce, leggero e puntuale, critico e comprensivo, allegro di quella allegria che sempre l'aver capito porta con sé» (Chiara Valerio, «L’Espresso»).

De Amicis aveva in mente una scuola che modificasse, che forgiasse, la realtà, ma ci siamo trovati davanti a una società che ha modificato, e forgiato, la scuola L’invenzione degli italiani

Queste pagine ci ricordano che la fondamentale importanza del racconto pedagogico deamicisiano è stata proprio quella di formulare una grammatica essenziale, attraverso cui poterci rappresentare e raccontare come popolo unito perché solidale. Una grammatica fondata su istruzione, empatia e amorevolezza, che in tempi di odio è quanto mai importante cercare nuovamente di imparare

«Se vogliamo capire da dove veniamo, nel bene e nel male, dobbiamo continuare a fare i conti con Edmondo dei Languori» (Ernesto Ferrero, «tuttolibri – La Stampa»).

Diana Evans

Il nuovo libro di Diane Evans, tra i migliori dell'anno per New Yorker, Financial Times e New Statesman, racconta di due coppie londinesi che riflettono sui desideri raggiunti e le aspettative deluse, in un gioco di tradimenti e perdono, di fughe e incontri, esplorando la fragile architettura dell'amore. Sullo sfondo, la storica vittoria di Obama del 2008 con tutto il suo carico di sogni e speranze.

Michael non si sente più desiderato, ma vuole salvare il proprio matrimonio perché ama ancora Melissa, come tredici anni fa. Melissa vorrebbe tornare a essere la donna che era prima di sposarsi e ha paura di essersi persa, dopo due bambini. Damian ha un lavoro frustrante e sogna di fare lo scrittore, di conquistare Melissa, di scappare dalla provincia. Stephanie, sua moglie, vorrebbe soltanto vivere con serenità la sua esistenza di casalinga e madre.

Evans «ci consegna un ritratto doloroso e vero della generazione nata dai Baby boomers e incalzata dai Millennials. Nel caso di Evans, inoltre, narrare le persone comuni nere o con origini miste nasce da una volontà programmatica […] Nel libro racconta la classe media nera e multiculturale. Affronta il tema dell'identità, che però va ad aggiungersi, ad arricchire, e non esaurisce una più universale indagine sull’intimità delle nostre relazioni. Evans è bravissima in questo» (Alessia Rastelli, «la Lettura – Corriere della Sera»).

Cos’è una festa ben riuscita se non l’opportunità di fare l’amore nelle prime ore del giorno? Quali altri impegni pressanti possono esserci quando la casa è finalmente vuota per una notte intera? Per ricordarsi a vicenda di non essere solo compagni ma ancora amanti, forse, ancora innamorati La geometria delle coppie

L’autrice ha scritto un libro che fa riflettere sulle relazioni e sul matrimonio, ma è anche «un ritratto malinconico, poetico, intelligente e sarcastico della crisi di mezza età vissuta da due coppie di amici neri nella Londra rutilante del primo decennio del nuovo Millennio» (Caterina Soffici, «tuttolibri – La Stampa»).

«La tensione raggiunge il culmine nella seconda parte, in cui sale anche il ritmo. Melissa crolla, pensa che la casa su due piani sia posseduta e il romanzo devia nei toni del gotico e dell’horror. Un crescendo visionario in cui anche i quadri prendono vita, realtà e incubo si confondono» (Alessia Rastelli, «la Lettura – Corriere della Sera»).

Evans, con «una scrittura magnifica, ironica e commovente» («The Guardian»), mostra il lento declino della passione e l'amore ostinato che non vuole arrendersi.

Al via nella suggestiva cornice della città di Mantova, la XXV edizione del Festivaletteratura: l’edizione 2021 s’illumina della sua ritrovata dimensione internazionale. Narratori, poeti, esperti di varie discipline, autori e illustratori per ragazzi provenienti da vari paesi torneranno a incontrare i lettori di ogni età all’interno della città dal vivo o - per chi è ancora troppo lontano - con la mediazione del collegamento video. Dall’8 al 12 settembre Festivaletteratura torna ad abitare le strade e le piazze della città lombarda e gli spazi dell’etere, festeggiando i suoi venticinque anni con un’edizione che vede più appuntamenti dal vivo rispetto allo scorso anno. Oltre 250 autori, riprese di format di grande successo - come le lavagne e la panchina epistolare -, spazi di confronto tra saperi umanistici e scientifici (Scienceground), percorsi di “trasformazione” della città, una casa d’arte e letteratura per bambini, sperimentazioni avviate nel 2020 (il furgone poetico, piazza balcone, le collane, le storie illustrate, Radio Festivaletteratura), e alcune novità come il Dante Jukebox e la pesca poetica. Qui il programma completo.

Il calendario degli appuntamenti con gli autori Einaudi:

Mercoledì 8 settembre

Ore 19.00, Aula Magna dell'Università - € 7,00
L'invenzione delle vacanze
Alessandro Martini e Maurizio Francesconi con Marco Malvaldi

Ore 19.15, Piazza Castello - € 7,00
Il cambiamento passa dal ricordo
Maaza Mengiste con Carlo Lucarelli
L’autrice parlerà in inglese, con interpretazione consecutiva in italiano.

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Giovedì 9 settembre

Ore 14.30, Aula Magna dell'Università - € 7,00
Vite di pianura
Marco Belpoliti con Marco Martinelli

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Venerdì 10 settembre

Ore 10.30, Piazza Castello - € 7,00
Un filo tra passato e presente

Marco Balzano e Francesca Melandri con Bianca Pitzorno

Ore 15.00, Tenda Sordello - ingresso gratuito con prenotazione - accenti
Indagini all'ombra del bastione

Francesco Abate

Ore 17.00, Museo Diocesano - € 7,00
Sradicati

Giacomo Bevilacque e Mario Desiati con Espérance Hakuzwimana Ripanti

Ore 18.30, Tenda Sordello - ingresso gratuito con prenotazione - accenti
Dentro le ferite

Donatella Di Pietrantonio con Federica Iezzi

Ore 19.00, Aula Magna dell'Università - € 7,00
Come si guardano le nuvole

Riccardo Falcinelli

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Sabato 11 settembre

Ore 10.00, Tenda Sordello - ingresso gratuito con prenotazione - accenti
Nelle terre dei narcisi

Vittorio Lingiardi

Ore 11.00, Palazzo San Sebastiano - € 7,00
Scelte di vita

Gabriele Romagnoli e  Marcello Fois

Ore 14.30, Aula Magna dell'Università - € 7,00
Un'idea di casa

Emanuele Coccia e Luca Molinari con Marco Filoni

Ore 14.30, Palazzo della Ragione - € 7,00
Riempire i vuoti della storia

Fernanda Alfieri e Serena Vitale con Chiara Valerio

Ore 14.30, Piazza Castello - € 7,00
Intingere la penna nelle proprie radici

Donatella Di Pietrantonio e Ilaria Tuti con Maria Emilia Piccone

Ore 19.15, Palazzo San Sebastiano - € 7,00
Viaggi al centro della terra

Robert Macfarlane con Davide Longo

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Domenica 12 settembre

Ore 10.00, Palazzo San Sebastiano - € 7,00
Il museo non è una società sospesa

Francesca Cappelletti e Christian Greco con Claudio Musso

Ore 11.00, Tenda Sordello - ingresso gratuito con prenotazione - accenti - territori resilienti
Un rifugio ad alta quota

Luca Mercalli

Ore 12.15, Museo Diocesano - ingresso gratuito con prenotazione
Read on - Blurandevù

Mario Desiati

Ore 14.30, Palazzo della Ragione - € 7,00
La parola bianca

Francesca Mannocchi e Gaia Manzini con Simonetta Bitasi

Ore 16.00, Tenda Sordello - ingresso gratuito con prenotazione - accenti
Parlando di scuola

Marcello Fois e Chiara Valerio

Ore 16.00, Palazzo della Ragione - € 7,00
Indagatori di sentimenti

Claudio Piersanti e Andrea Vitali con Marianna Albini

Ore 18.30, Palazzo della Ragione - € 7,00
L'ora dei commissari

Davide Longo e Valerio Varesi con Luigi Caracciolo

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Per informazioni:

Il sito di Festivaletteratura e il calendario completo degli appuntamenti.
Festivaletteratura su twitter (hashtag #FestLet).
Festivaletteratura su facebook.

Raphael Bob-Waksberg

Qualcuno che ti ami in tutta la tua gloria devastata è il primo libro di Bob-Waksberg, sceneggiatore, produttore televisivo e attore, conosciuto principalmente per aver creato la serie di culto BoJack Horseman: «Non esattamente un esordiente sprovveduto, dunque, ma piuttosto un abilissimo costruttore di meccanismi narrativi (anche molto piccoli) in cui colpi di scena e finali a sorpresa (o semplicemente commoventi) arrivano al momento giusto come in un perfetto congegno a orologeria. C'è del mestiere e un'intelligenza molto… newyorkese nella sua scrittura brillante che sa mischiare - perfino con cinismo - ironia e fragilità, sogno e divertissement, umorismo e malinconia. […] Le pagine scorrono con una grazia sottile che sommessamente ti avvolge e ti cattura» (Claudia Bonadonna, «Rumore»).

Un uomo e una donna che saltano tutte le fermate della metropolitana della loro vita in attesa dell’occasione giusta. Due sposi costretti dai parenti a sacrificare caproni per assicurarsi la felicità futura. Uno scienziato che fa avanti e indietro da un universo parallelo in cui ha fatto solo le scelte giuste. E altri quindici racconti pieni di umorismo e sincerità sul sentimento più bello e su quello più terribile: l’amore.

I racconti di Bob-Waksberg sono in grado di fare ciò che solo la vera arte può fare: riempiono il cuore di tenerezza, gli occhi di lacrime di gioia, le labbra di un largo sorriso. E tutto allo stesso tempo «The Washington Post»

Il libro raccoglie alcune pagine dall’autore disseminate negli anni, «storie surreali e assurde, amori dolorosi impastati in un umorismo dark, cenni di vita racchiusi in poche righe o in lunghi elenchi» (Dario Ronzoni, «Linkiesta», link).

«Ma soprattutto è una richiesta, amami nella mia gloria devastata, con uno stile che è quello che abbiamo già incontrato con Bojack – iniziare in un contesto di routine e precipitare nell’assurdo – e che, allo stesso modo, ci fa ridere e riflettere simultaneamente su quelle disgrazie che sono solo colpa nostra» (Corinne Corci, «Rivista Studio», link).

Leggendo questi racconti preparatevi a essere devastati e ricostruiti pezzo a pezzo. Raphael Bob-Waksberg  è «capace di tutto. Sa rendere credibili le storie più assurde […] benissimo tradotte dallo scrittore Marco Rossari che passa dall'impenetrabilità di Malcolm Lowry all'assurda comicità di questi racconti, senza mai un'incertezza» (Mariarosa Mancuso, «Il Foglio»).

Maurizio de Giovanni

Torna in libreria l'irresistibile Mina Settembre, assistente sociale del Consultorio Quartieri Spagnoli Ovest, fra i personaggi più amati del maestro del giallo italiano, Maurizio de Giovanni, e ora anche protagonista di una fortunata fiction Rai.

Accadono due fatti. Due fatti che appaiono chiari, eppure a Mina i conti non tornano. Un’anziana viene scippata, cade e finisce in coma. Sin qui nulla di strano, purtroppo; è la soluzione del caso, il modo in cui arriva, a non convincere. E convince poco pure il secondo episodio, una scena di povertà estrema mandata in onda da una televisione locale: un bambino che si contende del cibo con un cane fra montagne di spazzatura.

No, a Mina i conti non tornano proprio. Non è una donna che si lascia incantare dalle mille voci che circolano in città; è curiosa, caparbia, e così inizia a indagare con l’aiuto dell’innamoratissimo Mimmo Gammardella, il ginecologo più bello dell’universo, e a dispetto del suo caustico ex marito, il magistrato Claudio De Carolis. Solo che deve stare attenta, perché di mezzo, in questa vicenda, ci sono parecchie sirene, e le sirene, si sa, incantano.

È il mio miglior libro, quello più napoletano e quello più legato alla personalità narrativa di mia madre, scomparsa lo scorso autunno. Spero di restituire un centesimo della sua capacità di raccontare. Maurizio de Giovanni

Meno male che a far da guida fra inganni e malintesi c’è la Signora, straordinaria presenza che attraversa l’intero romanzo. Una delle invenzioni più poetiche dell’autore. Abita in un vicolo e ne ha viste tante nella vita. È convinta che le storie siano tutte legate da fili nascosti che, però, bisogna scovare.

«Se volete una storia, dovete andare dalla Signora. Arrivarci non è banale. La Signora sta alla fine di un vicolo privo di uscita, in cima ai Quartieri Spagnoli […] Prima di tutto, si notano il silenzio e il fresco. Per qualche oscura ragione, le alte pareti in tufo trattengono la cacofonia perenne all’esterno e restituiscono di sera il sole, e di giorno le tenebre, cosí da fornire un perenne pomeriggio di primavera, quale che sia la stagione. E in fondo, una magnolia spontanea si inchina dalle pietre in avanti, come una naturale tettoia protettiva di foglie larghe e scure, e fiori bianchi o germogli. Nemmeno con un drone, viene da pensare, si potrebbe vedere niente di quello che succede qui.
Ma tanto non succede nulla, qui, o quasi. C’è solo una porta che dà in un basso di cui non si vede l’interno, buio com’è. E una sedia. Dove sta la Signora».
Una Sirena a Settembre
, pp. 3-4

De Giovanni presenta «Una Sirena a Settembre» su Repubblica.it
Raffaella Carrà

È stata una rockstar, e non lo sapeva. Malinconico, in queste pagine, glielo aveva detto. Diego De Silva

Rumore (1974, di Ferilli - Lo Vecchio) è uno dei grandi successi di Raffaella Carrà, forse il piú ballabile della sua discografia. Racconta le fobie serali di una donna single e la sua fatica di adattarsi all’indipendenza dopo la fine di un amore.
Nella canzone, la percezione di un rumore in casa di cui la donna non sa spiegarsi la fonte diventa motivo di resa incondizionata a una paura ancestrale (di cui quella dell’intrusione di un malintenzionato è soltanto un aspetto), e insieme l’occasione per ridiscutere una scelta d’autonomia che comporta, fra le altre rinunce (se non in primis), quella alla tutela maschile.
Il tema della paura che assale e colpevolizza finisce cosí per asservire il brano ai suoi scopi narrativi, costruendo una sorta di sintomatologia musicale dell’ansia. Il pezzo è infatti caratterizzato dalla ripetizione nevrotica, tendenzialmente infinita, di un monosillabo cantato da un coro femminile che, come in un rituale ossessivo, supporta la voce solista al battere di un tempo perentorio, tachicardico, tipicamente dance, in palese avanguardia rispetto ai canoni della musica leggera dell’epoca.
Fin dalle prime battute, Rumore ingaggia una sorta di corpo a corpo con l’ascoltatore, inchiodandolo a un tempo che non ammette variazioni e obbliga a soccombere alla tirannia del ballo. È praticamente impossibile resistere alla tentazione di muoversi, non assecondare gli implacabili colpi di cassa confermati dal basso elettrico che insiste altrettanto compulsivamente su una sola nota, evocando la pulsazione della paura sofferta dalla protagonista e giocando a un raddoppio ritmico che costringe il corpo a un riflesso d’ubbidienza, quasi ci si sentisse spinti alle spalle, come se il pezzo, per cosí dire, istigasse a buttarsi nella mischia.
E sí che in uno scenario musicale egemonizzato dalla melodia, dove le canzonette abbondavano d’archi e le percussioni rimanevano rigorosamente sullo sfondo, proporre un pezzo dove il tempo faceva da padrone e gli strumenti melodici svolgevano un lavoro impiegatizio ai margini della ritmica, deve aver costituito una provocazione artistica al limite dell’affronto.
Per non dire del testo. In quale altro brano di musica leggera italiana il sentimento della paura è stato rappresentato in una versione cosí antimetaforica e organica? Nelle canzoni d’amore, la paura è sempre paura della fine dell’amore, dell’abbandono, della solitudine: mai la paura realistica, concreta, di un male in sé (e non è un caso che un altro successo della Carrà, uscito esattamente un anno dopo, s’intitoli proprio Male), magari impersonato da un rapinatore con un passamontagna che entra di notte in casa di una donna sola (spiegherò tra poco il perché di questa figura cosí precisamente descritta nell’abbigliamento).
La paura nelle canzoni d’amore è paura della perdita della persona amata come completamento affettivo del sé, non della mancanza dell’altro (da intendersi in accezione rigorosamente maschile) in funzione di guardia del corpo.
Da questo punto di vista, Rumore compie un’operazione antiromantica e controculturale: rompe il nobile pregiudizio che accompagna, nobilitandola, la paura nelle canzoni d’amore (e perciò la esorcizza), per riconsegnarla alla piú autentica dimensione dell’angoscia.
Priva d’ogni freno inibitorio, la protagonista della canzone si consegna mani e piedi al timore dell’aggressione notturna rimpiangendo la fine di una storia che le garantiva protezione e sicurezza:

Mi è sembrato di sentire un rumore
È sera
la paura
io da sola non mi sento sicura
sicura mai
mai mai mai
e ti giuro che stasera vorrei tornare indietro al tempo
E ritornare al tempo che c’eri tu
per abbracciarti e non pensarci piú su

Il rumore è dunque una categoria dell’immaginario, una manifestazione, un richiamo. È la gaffe dell’assassino, il ciak che dà l’azione alle paure piú intime e sopite, allestendo su due piedi una scena magistralmente diretta in cui la vittima prende improvvisa coscienza della parte che le è stata assegnata.
È quanto iconograficamente accade in una delle due copertine del singolo, dove Raffa indossa un passamontagna che le scopre soltanto gli occhi, come se in una sindrome di Stoccolma, un’identificazione patologica con il malintenzionato, volesse indossarne i panni e dirci: «Io sono l’aggressore di me stessa».
Malgrado l’impietosa descrizione dell’impotenza femminile, e l’implicita negazione della possibilità della donna ad aspirare all’autonomia, Rumore è solo apparentemente una canzone maschilista, perché proprio nella piena dell’incubo, quando la protagonista sembra stia per rinnegare la sua scelta d’indipendenza, riesce a trovare il coraggio di riaffermare se stessa, rivendicando il diritto a una vita da single alla faccia della sua stessa paura:

Ma ritornare, ritornare perché
quand’ho deciso che facevo da me

Indimenticabili, poi, le esecuzioni televisive del pezzo, veri e propri video ante litteram che dimostravano la spiccata inclinazione di Raffa a concepire già allora la canzone non come una semplice esecuzione vocale, ma un concept, un pacchetto di prestazioni artistiche differenti quanto necessarie a costruire un discorso complesso, recepibile contemporaneamente su piú livelli (cosí, p. es., in uno straordinario playback in bianco e nero tuttora disponibile in rete, vediamo Raffa dimenarsi al centro della pista di una discoteca – all’epoca si chiamava night – circondata da capelloni danzanti che agitano le braccia intorno alla sua figura come in un rito d’evocazione).
Uno dei molti talenti di Raffaella consiste, senza ombra di dubbio, nella sua promiscuità estetica. Nella naturalezza con cui ha saputo adottare le forme piú estreme di una modernità ancora inedita in Italia senza causare alcun danno d’immagine al suo personaggio di conduttrice televisiva per famiglie. Nella pratica di un trasformismo che non ha mai temuto la riprovazione del pubblico, ma anzi ne ha sempre ricevuto l’approvazione spontanea.
Basta dare un’occhiata alle due diverse copertine di Rumore proposte all’epoca per avere prova certa di questa straordinaria attitudine. Di volta in volta, Raffa può mostrarsi in tenuta da motociclista, con tanto di casco alla mano e un muro di pellicce di animali selvaggi alle spalle a farle da quinta, o spingersi fino a scegliere uno stile fetish (quello del rapinatore con passamontagna) che in Italia avrebbe impiegato almeno una trentina d’anni a sdoganarsi, e poi dialogare con Topo Gigio a Canzonissima con l’affabilità della piú deliziosa delle massaie.
È questa capacità di tornare alla tradizione entrando e uscendo liberamente dall’avanguardia, quest’attitudine a vivere una doppia vita facendo in modo che nessuna delle due fagociti l’altra, la vera cifra del suo talento. Come potesse permettersi qualsiasi cosa.
Piú dei suoi indubitabili meriti di ballerina, vocalist, attrice, presentatrice e donna di spettacolo a tutto tondo, è la sua innata capacità di guadagnarsi l’indennità sul campo che fa di Raffaella Carrà il personaggio pop italiano piú significativo degli anni Settanta.

Da Sono contrario alle emozioni di Diego De Silva, pp. 44-48

Isaka Kotaro

Un treno partito da Tokyo e lanciato a trecento all’ora nella campagna giapponese. Una valigia piena di soldi nascosta in una delle carrozze. E sette assassini pronti a entrare in azione: «È il set del romanzo I sette killer dello Shinkansen del giapponese Isaka Kotaro, maestro del crime. E lo dimostra già dalle prime pagine: negli stessi vagoni, per un motivo che al lettore resta oscuro fino all'ultimo, lo scrittore fa viaggiare coppie di assassini, quattordicenni psicopatici, sgherri della malavita nipponica, padri alcolizzati. Non è un caso che il "thriller sparatissimo", come recita la frase di accompagnamento, stia per diventare un film con Brad Pitt, Lady Gaga e Sandra Bullock» (Annachiara Sacchi - «la Lettura – Corriere della Sera»).

Il giovane Oji, Nanao (a suo dire l’assassino più sfigato del mondo) e gli altri protagonisti danno vita ad un thriller in cui tensione e adrenalina si susseguono fino all’ultimo; per il Times «una miscela di Tarantino e fratelli Coen».

Dialoghi surreali, colpi di scena, una trama che non dà respiro al lettore… Isaka ha creato un romanzo che è «sopraffino intrattenimento. Esilarante e truculento da sembrare un fumetto, veloce come un videogame, ironico, surreale nei dialoghi e parecchio sanguinario» (Annachiara Sacchi - «la Lettura – Corriere della Sera»).

Ho scritto I sette killer dello Shinkansen concentrandomi sull'elemento del divertimento. È questa la forza di gravità del romanzo. Isaka Kotaro

Ma è così facile nascondere una valigia zeppa di soldi in un treno? «Per questo aspetto della trama mi sono fatto aiutare da un redattore. L'ho fatto salire sullo Shinkansen e gli ho chiesto di aprire tutti gli spazi in cui si poteva immaginare di inserire o poggiare oggetti come una borsa. Facendogli scattare fotografie. Chissà cosa avranno pensato i controllori» (Isaka Kotaro intervistato da Giuliano Aluffi, «il venerdì – la Repubblica»).

Il film tratto dal romanzo di Isaka si intitolerà Bullet Train e uscirà nel 2022. Sarà diretto da David Leitch, già regista di Atomica bionda e Deadpool 2; nel cast ci saranno molte celebrità: i già menzionati Brad Pitt, Lady Gaga e Sandra Bullock verranno affiancati da Joey King, Aaron Taylor-Johnson, Andrew Koji e Michael Shannon.

Giancarlo De Cataldo

Dopo Io sono il castigo e Un cuore sleale, esce la terza indagine del magistrato melomane Manrico Spinori, il primo protagonista seriale di Giancarlo De Cataldo: «Un personaggio del tutto inedito disegnato dal Maestro De Cataldo, autore che potremmo definire dalla penna d'oro […] conte in virtù delle ascendenze aristocratiche, è sicuramente uno dei più riusciti» (Gabriella Genisi, «tuttolibri – La Stampa»).

In questa vicenda, una frase buttata lí da un pentito, all’apparenza in modo casuale, produce un piccolo terremoto in procura. Perché a dar retta a er Farina – spacciatore con contatti importanti nella malavita organizzata – dieci anni prima il dottor Spinori non aveva fatto un buon lavoro occupandosi dell’assassinio di Veronica, escort transessuale d’alto bordo. Del delitto era stato accusato un uomo che, a causa dello scandalo, si era tolto la vita.

«Attraverso un'indagine raccontata con i toni garbati della commedia italiana il lettore viene condotto nella zona grigia del mondo di mezzo, delle connivenze tra mafia e colletti bianchi ma soprattutto, in un unicum per la letteratura poliziesca, si renderà conto del lavoro di squadra che coinvolge magistratura, polizia, carabinieri e guardia finanza, oltre che dell'importanza dei dettagli. Perfino di un vassoio di cannoli siciliani» (Gabriella Genisi, «tuttolibri – La Stampa»).

De Cataldo presenta Il suo freddo pianto - Ibs.it

Nonostante le prove schiaccianti, dopo le parole di er Farina, tutto torna in discussione. Un colpo al cuore per un magistrato attento come Manrico, che diventa ombroso e, nel generale scetticismo, riapre le indagini, scoprendo un intrigo di cui nessuno poteva sospettare. Questa volta avrà bisogno della sua squadra, un affiatato gruppo di formidabili investigatrici che, per l’occasione, registra anche un nuovo ingresso.

«Al solito De Cataldo sfoggia un solidissimo mestiere. I dialoghi sempre credibili e pieni di sprazzi gergali sono il frutto dell'esperienza di uno sceneggiatore consumato. La struttura è colma di informazioni potenti e concrete sui meccanismi investigativi e giudiziari. I legami col melodramma, precisi e sorprendenti, ci rammentano che non esiste alcuna delittuosa situazione che non sia stata evocata e narrata da un'opera. E il romanzo brilla di un bel timbro da giallo all'italiana, definito da una relazione stretta con la vivida realtà territoriale e dalla presenza delle maschere più riconoscibili e significative della nostra eterna commedia dell'arte. Applausi» (Leonetta Bentivoglio, «la Repubblica»).

Il 10 giugno, al Teatro Romano di Benevento, sono stati proclamati i cinque finalisti della LXXV edizione del Premio Strega. Tra i titoli c’è Borgo Sud di Donatella Di Pietrantonio, uscito a novembre del 2020 nei Supercoralli.

«Con Borgo Sud ho voluto raccontare le conseguenze del disamore. Se non hai conosciuto, appreso la lingua dell’affetto in famiglia, quella lingua diventa più ostica da adulti».
Donatella Di Pietrantonio

La serata finale si svolgerà giovedì 8 luglio al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, in diretta su Rai 3.

Premio Strega
Dal profilo Twitter del Premio Strega

Ecco la cinquina finalista della LXXV edizione del Premio:

Emanuele TreviDue vite (Neri Pozza)
Edith BruckIl pane perduto (La nave di Teseo)
Donatella Di PietrantonioBorgo Sud (Einaudi)
Giulia CaminitoL’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani)
Andrea BajaniIl libro delle case (Feltrinelli)

Maaza Mengiste

Il re ombra di Maaza Mengiste, uscito il 30 marzo nei Supercoralli, è il romanzo vincitore del Premio Gregor Von Rezzori 2021. L’autrice «ha scelto di scavare nella storia della guerra etiope, e nel farlo ha dissotterrato una miniera di fatti non ancora conosciuti, storie e persone straordinarie –  ha spiegato la giuria del premio composta da Beatrice Monti della Corte, Andrea Landolfi e Paola Del Zoppo – […] La storia ufficiale dice che la guerra fu combattuta dagli uomini. Mengiste ci svela che le donne, in battaglia, svolsero un ruolo altrettanto importante. Ed è soltanto una delle rivelazioni del Re Ombra, una saga complessa, avvincente e commovente, oltre che oggi necessaria».

Un riconoscimento importante che si aggiunge alla calorosa accoglienza della critica. Di seguito alcuni estratti:

«Le pagine sulla violenza perpetrata dalle truppe di Mussolini sono memorabili, narrate da un'onnisciente terza persona attraverso il filtro di Hirut, la protagonista del romanzo che è anche la memoria storica di quei tragici eventi. E Hirut è anche il simbolo di una lotta per i diritti delle donne soggiogate a un sistema patriarcale, prima ancora di essere umiliate dagli invasori».
Guido Caserza, «Il Mattino»

«Un romanzo intenso, vivo e appassionato, da leggere per mille motivi. Mille e uno, se come italiani si desidera osservare con uno sguardo altro una parte della propria storia non ancora sufficientemente conosciuta».
Francesco Filippi, «il venerdì – la Repubblica»

«Un romanzo forte, originale e appassionante di una scrittrice nata in Etiopia, che evoca la tragedia dell'invasione fascista e la resistenza eroica di un popolo […] È un romanzo importante per noi italiani: duro, rispettoso e attendibile; e non compiacente verso i limiti della cultura maschile d'ogni paese».
Goffredo Fofi, «Internazionale»

La premiazione

«Il re ombra, affresco epico e corale dipinto magistralmente da Maaza Mengiste, restituisce nomi e volti ai protagonisti dimenticati della guerra d'Etiopia, le donne guerriere che combatterono contro i "talian" cancellate dalla memoria storica, i ragazzini e le famiglie gasati con l'iprite [...] Un romanzo dalla parte degli oppressi, gli etiopi, a fronte di oppressori e invasori, noi italiani "brava gente", portati dal fascismo a conquistare l'Etiopia ad ogni costo per costruire l'impero e vendicare l'umiliante sconfitta di 40 anni prima ad Adua, la Caporetto africana».
Paolo Lambruschi, «Avvenire»

«Allora, io sono maschio, bianco e italiano. E nonostante abbia sempre fatto ogni sforzo per attenermi a quanto ci sia di più bello in questa definizione, non posso fare a meno di confrontarmi con la metà oscura che nasconde. Devo continuare a ricordarla, raccontarla e combatterla, devo farci i conti, comunque, se voglio che non ci sia più. Mi piacerebbe parlarne ancora. E anche questa è una delle tante cose importanti di cui ringrazio il bellissimo libro di Maaza Mengiste».
Carlo Lucarelli, «la Lettura – Corriere della Sera»

«Sono i caduti della Guerra d'Etiopia, che la scrittrice Maaza Mengiste fa rivivere in Il re ombra, romanzo finalista al Booker Prize che avrebbe indubbiamente meritato di vincere, magistralmente tradotto da Anna Nadotti. Narratrice di raro talento, racconta la storia delle donne che, come la sua bisnonna, combatterono insieme agli uomini l'aggressione fascista, “e che tutt'oggi non sono che rghe incerte in documenti sbiaditi”».
Lara Ricci, «Domenica – Il Sole 24 Ore»