Giulio Einaudi editore

Maurizio de Giovanni

Con Volver Maurizio de Giovanni, oltre a regalare ai lettori un altro emozionante capitolo della vita del commissario Riccardi, chiude la «trilogia del tango», iniziata con Caminito e proseguita con Soledad.

Siamo nel luglio del 1940 e l’Italia è in guerra. Ricciardi – preoccupato per la figlia Marta e per i suoceri, in grave pericolo a causa delle origini ebraiche – ha ormai trasferito la famiglia a Fortino, il paese dove è nato.

Ma dove sperava di trovare un po’ di quiete, si ritrova faccia a faccia con un passato mai dimenticato. Per lui, e non solo per lui, è arrivato il momento di regolare i conti con la propria storia. Del resto è questo, quasi sempre, il destino di chi torna.

Questa volta a «parlare» a Ricciardi è un bracciante ucciso proprio nel suo podere quando aveva solo sei anni, la stessa età che ha ora Marta, sua figlia. E sarà proprio lei, che ha ereditato gli stessi tormenti del padre, ad aiutarlo nella scoperta di una sorprendente verità.

«Siamo cambiati tanto Ricciardi e io, rimanendo uguali a come eravamo. Lui e io siamo la giovinezza passata, siamo l'età perduta. Siamo i sorrisi attraverso le lacrime, siamo il senso di quelli che se ne sono andati e il calore di chi è rimasto».
Maurizio de Giovanni, «Corriere della Sera»

«Volver conferma la notevole maturità raggiunta dallo scrittore, in un romanzo che intreccia la verità sul “Fatto”, la violenza ottusa del fascismo bellico, le affinità elettive tra Napoli e l'Argentina, il vortice dell'amore che diventa dolore. Ma l'ultima parola del libro è “illusione”. Il commissario Ricciardi tornerà?»
Fabrizio d'Esposito, «il Fatto Quotidiano»

«“Il Fatto”, l'aiuto segreto nello svolgimento delle sue indagini, è comunque di per sé una forma di solitudine, alla quale aggrapparsi per convenienza ma con il risultato di una dolorosa diversità che lo avvicina in maniera tormentata al mondo delle ombre un'ultima speranza […] Si riallacciano tutti i nodi, in quest'ultima avventura del personaggio di De Giovanni. E come sempre sarà "Il Fatto" a permettere al commissario di scoprire il colpevole di un ennesimo delitto, ma mettendolo anche a confronto con una realtà familiare destinata a imprimere una ulteriore svolta alla sua vita».
Sergio Pent, «tuttolibri – La Stampa»

«Una sorta di viaggio a ritroso nello spazio e nel tempo la cui traiettoria si curva verso le profondità della memoria e qui interroga i fantasmi di un passato che pare aspettare soltanto di essere ridestato per consegnare la sua verità […] se Soledad aveva rappresentato il passaggio politico del ciclo, Volver è quello più introspettivo. È l’indagine delle indagini, è l’indagine su una vita».
Generoso Picone, «Mattino»

«Volver, appena uscito, ancora dedicato ai tanghi celebri di Carlos Gardel, come Caminito e Soledad, storia che giunge all'apice di dolore e struggimento che travolge Ricciardi, mantenendo un ritmo narrativo altissimo, sempre invidiabile, da maestro, sviluppato su tre nuclei».
Pier Luigi Razzano, «la Repubblica – Napoli»


Per rivivere le emozioni della prima presentazione di Volver, al teatro Acacia di Napoli, ecco il video:

Rooney, Dove sei mondo bello, parlarne tra amici, persone normali

Dopo i successi di Parlarne tra amici, Persone normali e Dove sei mondo bello, Sally Rooney è tornata nelle librerie con Intermezzo. È la storia di Peter e Ivan che, alla morte del padre, vedono sconvolto il precario equilibrio della loro esistenza. Nascono nuovi amori, esplodono vecchie ruggini, si creano inedite alleanze. E in questo interludio si intravede la vastità potenziale di ogni vita.

Se per il Guardian Rooney è «il fenomeno letterario del decennio», Leonetta Bentivoglio nelle pagine di Robinson sottolinea come l’autrice sia «mitizzata dai millennial e giustamente adorata da chiunque».

E anche in Italia il libro era attesissimo, come dimostrato dalla grande affluenza all’evento del 12 novembre nella libreria Mondadori del Duomo di Milano: l’Einaudi ha festeggiato l’uscita del romanzo con una live performance durata tutta la giornata e con l’incontro intitolato Intermezzo: parlarne tra amiche.

Francesca Crescentini, Carlotta Sanzogni e Ilenia Zodiaco parlano di Intermezzo

Il libro sta ricevendo una calorosissima accoglienza non solo dai lettori e dalle lettrici, ma anche dalla stampa. Ecco alcuni estratti:

«È incredibile come ogni libro di Sally Rooney susciti una potente adesione, una sorta d’ipnosi che ci mette in contatto con le nostre fatiche e speranze emotive, col nostro senso d'inadeguatezza relazionale e con le nostre crepe e aspirazioni […] Intermezzo è forse il più ambizioso e profondo romanzo di Rooney».
Leonetta Bentivoglio, «Robinson – la Repubblica»

«Se penso a Sally Rooney, penso al silenzio. I gesti sospesi, certe parole non dette, un'intenzione covata e trattenuta, intimidirsi per amore. È lei, la sua letteratura di snodi carsici, a ritrarre il rumore di quest'epoca […] E adesso che pubblica il suo ultimo romanzo, Intermezzo, vale lo strano incanto che colpì i lettori quando si trovarono in libreria Parlarne tra amici, Persone normali, Dove sei, mondo bello - ovvero un certo stupore per la ferita della normalità. Le piccole cose grandi, direbbe Rilke».
Marco Missiroli, «La Lettura – Corriere della Sera»

«Scrivere ed essere scrittrice sono due cose diverse, due talenti distinti. Sinergici, talvolta, ma indipendenti: uno non è necessario all'altro. Sally Rooney li ha entrambi: è una magnifica scrittrice e magnificamente scrive […] Intermezzo è un capolavoro. È un romanzo sull'essere umano, sull'essere donne e uomini. Non uomini e donne di questo tempo, ma donne e uomini».
Simonetta Sciandivasci, «La Stampa»

«È un romanzo diverso che prova a tenere insieme tutto, la razionalità e l'istinto, l'amore e l'odio, la fedeltà e il tradimento, la politica attraverso le relazioni umane, ed è magnifico che sia tutto sempre al posto sbagliato, tutto letalmente al momento sbagliato, come già in Parlarne tra amici e in Persone normali: perché così è la vita […] Sally Rooney toglie la maschera al cuore umano, e ce lo consegna nudo, vero, e così disperato che viene voglia di perdonarlo».
Annalena Benini, «Il Foglio»

«È un romanzo pieno di vita con una scrittura anche spezzettata, non sempre fluida ma profondamente intima».
Francesco Musolino, «Il Messaggero»

«Intermezzo di Sally Rooney è forse il suo libro più bello. Racconta che disastro può essere la famiglia, e che consolazione».
Daria Bignardi, «Vanity Fair»

«A fare da contraltare a questa – chiamiamola – lucidità della parola, a questa apparente freddezza di prosa, semplice ma sempre efficace, giusta, misurata, è l'intensità dei contenuti, l'introspezione che si ricava dalla lettura, poiché si entra in contatto con il tema di fondo che guida la trama, un argomento spesso tabù: il lutto».
Eugenio Giannetta, «Avvenire»

«Rooney, un nome che è sulla bocca di tutti, anche di chi non l'ha mai letta, un culto, icona della Generazione Y, capace di scandagliare disagi e speranze di ventenni e trentenni di oggi […] Irresistibilmente fragili e in bilico, indagati da una scrittura asciutta, visiva, densa di dialoghi e lunghi soliloqui, i personaggi di Rooney nuotano controcorrente, ma sanno anche lasciarsi andare. “Niente è fisso. Vedi come va. Continua comunque a vivere”».
Carlotta Vissani, «il Fatto Quotidiano»

Classifica di Qualità de «La Lettura – Corriere della Sera» 2024

La città e le sue mura incerte di Murakami Haruki, uscito il 1° ottobre 2024, è il libro vincitore della Classifica di Qualità de La Lettura: «Un romanzone di 560 pagine diviso in tre blocchi, in cui si ritrova tutta la sua poetica: c'è l’amore adolescenziale di Norwegian Wood. Tokyo Blues; c'è il realismo magico-onirico dei suoi lavori successivi; c'è la vasta portata narrativa giocata per accostamento di macroblocchi […] un testo solidissimo, che in parte spinge il suo approccio al fantastico in territori nuovi e in parte lo riconduce in altri da tempo abbandonati. Il suo primo posto, ottenuto con ampio scarto sul secondo e sul terzo, è testimonianza della forza dell'autore classe '49 e dello stabile apprezzamento di cui gode in Italia».

Così Emanuele Trevi, sempre sulle pagine de La Lettura, si era espresso sull’autore e su questo suo ultimo lavoro: «Murakami non si considera un artista, come ha scritto una volta, ma un “uomo libero”. Libero soprattutto di non farsi incalzare dal tempo, di non fare piani, di lasciare che il processo dell'immaginazione vaghi libero come un animale selvatico, spingendosi indisturbato dove vuole, obbedendo alle sue carsiche leggi interne, che non coincidono mai esattamente con quelle del mondo che sperimentiamo ogni giorno. La città e le sue mura incerte è un esempio perfetto di questo metodo, tanto che si potrebbe interpretare come un'allegoria della scrittura, il bizzarro autoritratto di una mente che dal fondo del suo “pozzo” continua a tessere i suoi intrighi. È come se Murakami, recuperando quella storia inaugurale, avesse tirato fuori dal fondo di un armadio un aquilone ancora poco usato, per dargli finalmente l'occasione di volare alla luce del sole il tempo necessario a dispiegare tutta intera la sua bellezza».

Dal profilo de «La Lettura»

Einaudi è la casa editrice presente nella Classifica di Qualità con più titoli, quarantatre.

Eugenio Borgna si è spento il 4 dicembre 2024, a 94 anni, nella sua Borgomanero, ove era nato il 22 luglio 1930.

Psichiatra di fama internazionale, fine conoscitore dell’animo umano e acuto indagatore delle emozioni, ha attinto il suo sapere dall’indefesso lavoro di ascolto terapeutico dei suoi pazienti. Il dialogo è sempre stato al centro della sua indagine, il fine ultimo della sua ricerca psichiatrica. Il suo obiettivo è sempre stato quello di andare oltre il manuale, oltre la teoria per raggiungere il cuore e la mente dei suoi interlocutori e pazienti, contribuendo incisivamente a rendere più calda e umana la psichiatria.

La laurea in Medicina e Chirurgia risale al 1954 all'Università di Torino e in pochi anni, parallelamente al cambiamento radicale della psichiatria, Borgna si affermò nel settore diventando prima responsabile del reparto di psichiatria dell'Ospedale di Pavia, quindi, dal 1963, direttore del servizio psichiatrico dell'Ospedale Maggiore di Novara.  Meno costrizione, meno repressione, meno forzatura. Questo è stato l’inossidabile principio su cui si è basato il suo lavoro di cura delle malattie mentali. E all’imposizione brutale delle cure psichiatriche di un tempo Borgna ha contrapposto i concetti preziosi di dialogo, ascolto e accettazione della fragilità dell’animo umano.

Se la psichiatria si configura come una disciplina che integra la biologia, la psicologia e la sociologia, Borgna per arrivare all’equilibrio sano della mente ha aggiunto e favorito lodevolmente l’aspetto umano.

Il suo lavoro, quindi, è stato fonte inesauribile per il binario parallelo e florido della scrittura saggistica, che ha avuto come orizzonte l’infinito evolversi e svolgersi dell’interiorità dell’essere umano immerso nella sua società. Ai tratti più umbratili della disperazione, del suicidio, della solitudine Borgna ha sempre contrapposto aspetti più fiduciosi e ottimisti, in un’oscillazione costante che corrisponde alla vibrazione dell’esistenza su questa terra.

Autore di molti libri importanti di valore scientifico, pubblicati con diversi e prestigiosi editori, ha trovato in Einaudi una casa accogliente per la sua straordinaria capacità comunicativa per un pubblico di non specialisti. Caratteristica dei suoi scritti divulgativi, infatti, era la sua capacità di rivolgersi alla letteratura e, soprattutto, alla poesia, che conosceva e amava. Il primo libro einaudiano appare già nel 2011, quando scrisse, insieme al sociologo Aldo Bonomi, Elogio della depressione, nella collana Vele, che si è rivelata per lui il luogo più congeniale ove raggiungere un vasto pubblico di lettori a lui molto affezionati. Qui pubblica fra i tanti, titoli come La fragilità che è in noi (2014), Parlarsi (2015), o La nostalgia ferita (2018). Nel 2017 aveva raccolto una serie di casi clinici in un libro più ampio, L'ascolto gentile, per la collana Frontiere, ora in tascabile. Così come sono in tascabile due fortunate raccolte di alcune sue Vele, dal titolo Le parole che ci salvano (2017) e Dare voce al cuore (2023). Ma ancora, quest'anno, nel 2024, con la consueta passione, ha pubblicato due Vele: In ascolto del silenzio e, poche settimane fa, L'ora che non ha più sorelle. Ci piace ricordarlo con alcune frasi dal primo di questi suoi due libri recenti, che ben riassumono il senso di responsabilità e di cura che egli sentiva nella comunicazione, clinica e quotidiana: «Ci sono parole che curano, e parole che accrescono il dolore, e questo non solo quando un medico si incontra con un malato, ma anche nella vita di ogni giorno. Siamo responsabili delle parole che diciamo, ma anche delle parole che avremmo dovuto dire e non abbiamo detto».

Gli uomini pesce di Wu Ming 1 è un romanzo lungo cent’anni con il cuore nel 2022, il presente della storia. Nell’estate di quell’anno la geografa ferrarese Antonia Nevi si trova a fare i conti con la morte dell’amatissimo zio Ilario - partigiano, artista, cineasta, e molto altro –, con segreti custoditi per quasi un secolo, e con un’eredità di cui deve comprendere il senso. Il tutto condito da un pungente odore di freschino.

In un futuro sempre più vicino l'innalzamento dell'Adriatico sommergerà le terre del Delta del Po. Terre già messe a dura prova da decenni di sviluppo incurante dell'ambiente, e che oggi subiscono gli effetti della crisi climatica, come dimostrano le recenti alluvioni in Emilia-Romagna. Per usare le parole di Wu Ming 1 su Giap, stiamo assistendo alla lotta dei fiumi per vivere, «contro un malterritorio che li costringe e li offende». Gli uomini pesce racconta ancora una volta l’epopea di queste terre e di questo fiume, che hanno visto gli scempi della guerra e della cementificazione, attraverso le storie di personaggi indimenticabili, alcuni inventati e altri no. Tanto che uno di essi, Paolo «Spillaman» Ferrandi, ha già pubblicato su Facebook una recensione del romanzo: «[La natura del vero tema del romanzo], quando arriva, è una bomba sconvolgente che ti fa cercare a tentoni il segnalibro per metterlo alla pagina giusta».

Già. Cosa c’è davvero al centro de Gli uomini pesce? Forse la velata dichiarazione di poetica della scozzese Ali Smith, nascosta tra le pagine di un altro grande romanzo con al cuore Ferrara (L’una e l’altra, BigSur 2016. Traduzione di Federica Aceto), vale anche per Wu Ming 1: «[…] raccontare una storia, ma in più di un modo solo, raccontandone un’altra che esce da sotto la pelle della prima».

E a proposito di recensioni, Nicoletta Verna ha speso su «La Stampa» parole accorate e precise per Gli uomini pesce. Ve ne proponiamo alcuni stralci:

«[…] il Po, anzi Po, senza articolo, come lo chiama chi vive fra le sue anse. È Po il vero, sontuoso, magnifico protagonista di questo romanzo: lo sterminato fiume che è sempre stato specchio dell’esistenza di Ilario, fonte perenne di riflessione, mistero, senso, bellezza. Una natura femmina e madre, oggi brutalmente violentata dall’uomo, una natura nel cui utero liquido può germogliare la vita, ma anche un arcaico terrore.

Antonia comprende che Po è l’unica labirintica via per penetrare il segreto di Ilario, e accoglierlo. Lei, che di mestiere fa la geografa e più di chiunque sa afferrare il rapporto misterioso fra la Terra e la storia, fra lo spazio e il luogo. Lo spazio è astratto, il luogo invece è memoria, radici, identità: è solo salvando i luoghi che possiamo preservare il nostro destino di esseri umani e il nostro unico possibile futuro.

[…] Gli uomini pesce è un romanzo travolgente, tentacolare, maestoso come il Po che scorre fra le sue pagine. È ricco di azione e di poesia, di visioni e di politica. Ci ricorda costantemente l’importanza di resistere, oggi come ottanta anni fa, ma ci conduce anche nel brumoso territorio dei sogni. Ai sogni (che generano materia, in senso quasi borgesiano) sono dedicate pagine stupende.

[…] L’immaginazione ci salva, la malinconia ci protegge, il sogno crea altri mondi. Il futuro e la vita sono desideri possibili, come Antonia comprende nella toccante, luminosa chiusa del romanzo».


Gli uomini pesce: una mappa dei luoghi letterari

Un po’ come dietro quasi ogni ansa del Po, anche dietro numerose pagine de Gli uomini pesce ci sono citazioni letterarie, spesso legate a un luogo preciso. Tanto che abbiamo pensato che valesse la pena di raccoglierne alcune in una mappa.

 


Gli uomini pesce: una playlist

« Prima de cominciare, ghe xe quela specie… de… diatriba fra… questi tre contrabasi (li indica) e quei tre contrabasi … (li indica). La diatriba aviene così: dovete improvisarla da voi senza note».
Bruno Maderna all’orchestra del Teatro La Fenice, Scuola grande di San Giovanni Evangelista

Ascolta la playlist su YouTube
Ascolta la playlist su Spotify

Gli uomini pesce: il tour
Wu Ming 1 è in giro per l’Italia a presentare Gli uomini pesce. Per sapere dove e quando sarà la presentazione più vicina a voi, consultate il calendario aggiornato degli appuntamenti di Wu Ming (autunno 2024) su Giap: https://www.wumingfoundation.com/giap/2024/10/calendario-generale-wu-ming-novembre-dicembre-2024/
Marco Balzano

Nei romanzi di Marco Balzano la Storia è sempre un punto di partenza, mai di arrivo. Al centro ci sono uomini e donne che la attraversano con convinzione o paura, ferocia o umanità. Macchiandosi dei crimini peggiori, subendola o a uscendone incolumi e senza rimpianti.

In questo nuovo lavoro, l’autore racconta la storia di Mattia. Nasce a Trieste nel 1900, la sua infanzia irrequieta, forse, è già un presagio: un fratello che parte per l’America, un amico che presto lo abbandona. A Trieste tutti lo conoscono come «Bambino», è stato la camicia nera più spietata della città.

Nonostante il soprannome che gli hanno affibbiato per il suo viso da fanciullo, Mattia ostenta una ferocia da boia. Ma prima ancora dell’ideologia, prima della violenza e della brutalità antislava, il motivo per cui indossa la camicia nera e batte palmo a palmo le terre contese è la speranza di ritrovare quella madre senza nome né volto. La ricerca di una donna che non ha mai conosciuto diventa il senso di tutto. Nella frontiera d’Italia più dilaniata, la vita di Bambino scivola su un piano inclinato: ogni giorno una nuova spedizione, un nuovo assalto, una nuova rapina.

È una storia veloce quanto un proiettile che attraversa guerre, confini, tradimenti. Come in Resto qui, Marco Balzano torna al grande romanzo storico e civile. E lo fa con il suo personaggio più duro, impossibile da dimenticare.

Da anni avevo in mente di scrivere una storia sul confine orientale, perché nessun territorio come Trieste ha visto avvicendarsi con brutale violenza, e senza soluzione di continuità, fascismo, nazismo e – sebbene per poche settimane – regime comunista Marco Balzano

«Lo chiamano Bambino ma dietro il suo viso delicato con quell’aria da attore del cinema, si nasconde un’anima violenta che lo trasformerà in un fascista spietato. È a lui, al trauma del rancore, all'abbandono che toglie l’aria e il destino, che Marco Balzano dedica il suo potente romanzo Bambino, in cui i torti e le ragioni si mischiano, con straordinaria complessità. Senza fare sconti alla carne e al sangue della storia. Un racconto malinconico e crudele, capace di svelare le tensioni di un’epoca, come solo la grande letteratura sa fare».
Michela Ponzani, «Corriere della Sera»

«Marco Balzano si è immerso nel cuore di tenebra del nostro passato prossimo – tra foibe e rastrellamenti nazisti […] Ma la sua virtù consiste nel mostrarci – in fondo all’abiezione del protagonista – uno straziante desiderio di purezza. Dentro la più insensata violenza il “Bambino” pensa alla madre sparita, alla matrigna, alla prostituta cui regala un bracciale… Ecco, quel desiderio di purezza, di una zona inviolabile del cuore umano che il male e la Storia non possono raggiungere (“l'odore buono di bucato”) è forse l’unica cosa che potrebbe salvarci».
Filippo La Porta, «la Repubblica»

«Un romanzo tanto rapido quanto potente. Un romanzo velocissimo eppure difficile da digerire perché contiene senza sconti la durezza e l’asprezza della Storia quando brucia la pelle e arriva fin dentro alla carne […] Bambino è una discesa fredda agli inferi che pure non dimentica mai l’umano e nella sua violenza la sua fragilità».
Giacomo Giossi, «Il Foglio»

«Bambino è un lungo viaggio nell’“ombra” come lo definirebbe uno junghiano. Ovvero l’esplorazione accanita degli strati più oscuri del negativo che si annida nell’animo umano, condotta lungo l’arco di un intero quarto di secolo, dai primi anni '20 al 1946, in una città esemplare come Trieste, dove tutte le passioni di quel convulso pezzo di secolo si esasperavano per la presenza di un confine che non divideva solo la geografia ma le stesse anime di chi l'abitava».
Marco Revelli, «La Stampa»

«Marco Balzano nel nuovo sorprendente romanzo, Bambino, racconta la formazione di una giovane camicia nera. C’entra la politica ma c’entra anche una “questione privata”, dolorosa, una rabbia personale che trova la sua divisa».
Paolo Di Paolo, «L’Espresso»

«Il libro di Marco Balzano, Bambino, è una doppia sfida. Raccontare le foibe, tabù di tanta sinistra filo-titina, e contestualizzarle, reazione di terrore all’orrore che l’ha preceduto».
Luca Mastrantonio, «7 – Corriere della Sera»

«Un gran bel romanzo, Bambino. Marco Balzano si conferma tra nostri scrittori più consapevoli dell'ultimo decennio».
Renato Minore, «Il Messaggero»

«Un romanzo intenso, diretto, a tratti molto duro, condotto in uno stile incalzante da vero maestro della narrazione, quale Balzano ha da tempo provato di essere».
Roberto Carnero, «Avvenire»

podcast

Mundus è il podcast tratto dal libro di Vincenzo Ferrone e Franco Motta, L’età dell’oro e del ferro. Una storia del mondo moderno, pubblicato da Giulio Einaudi editore nel 2023. Sette puntate, più il Prologo, che Studios pubblicherà su tutte le piattaforme a scadenza quindicinale.

Qui il dettaglio delle puntate:

Prologo: Di cosa parliamo quando parliamo di storia moderna? (online)

1 Sulla scena globale: commerci, imperi, culture oltre L’Europa (online)

Una panoramica sugli imperi e le civiltà di Asia, Africa e America oltre lo sguardo europeo, ossia prima dell’avvio dell’espansione coloniale europea oltre gli oceani.

2 Oltreoceano. L’Asia, il pepe e la Volta do mar (online dal 19 novembre)

Il racconto dell’esordio del colonialismo europeo con l’espansione oltreoceano dei portoghesi, con le nuove tecniche di navigazione elaborate nel XV secolo, la prima circumnavigazione del mondo, la costruzione dell’impero portoghese del pepe in Asia.

3 Verso Ovest. Acciaio, cavalli e la conquista delle Americhe (online dal 3 dicembre)

La scoperta, la conquista e la trasformazione dell’America da parte degli spagnoli, nel secolo che comincia con l’approdo di Cristoforo Colombo nelle isole dei Caraibi e si conclude con il tracollo demografico delle popolazioni native e lo sfruttamento intensivo delle miniere d’argento del Perù.

Puntata Bonus: Umanità e Natura. Alle origini dei diritti umani, in uscita in occasione della Giornata dei diritti Umani (online dal 10 dicembre)

Capire i diritti umani del mondo contemporaneo significa ripercorrere a ritroso una vicenda che ci fa penetrare fino alle origini stesse della civiltà occidentale. I diritti umani, infatti, non possono essere compresi se non storicamente, come straordinaria “invenzione” dell’Europa moderna sorta in seguito alla trasformazione radicale dei concetti di natura, di diritto, di umanità.

4 Assalto al mare. L’ascesa del capitalismo commerciale, tra finanzieri, pirati e piantatori di zucchero (online nel 2025)

L’ingresso del capitale commerciale privato nella contesa coloniale è il movente di una profonda trasformazione dei rapporti fra Europa e resto del mondo. La capacità di unire raccolta di investimenti, grazie alla nascita della società per azioni, e forza militare consente a olandesi, inglesi e francesi di trasformare l’espansione coloniale secondo le richieste dei crescenti consumi europei di lusso, come zucchero e tabacco. Lo schiavismo atlantico inizia così la sua vertiginosa crescita.

5 Mondi connessi. Espansione e accelerazione nel Settecento globale (online nel 2025)

Il XVIII è un secolo di accelerazione di processi che abbracciano ogni ambito della società europea e consolidano l’interscambio globale, ma anche la forza di penetrazione delle grandi potenze atlantiche negli altri continenti. La crescita demografica e agricola, il trionfo della finanza e del grande capitale commerciale, i primi passi della civiltà delle macchine determinano infatti l’avvio di una nuova fase del colonialismo che troverà piena espressione nell’Ottocento.

6 Emisfero occidentale. Teorie razziali, crisi dello schiavismo atlantico e tramonto dell’età moderna (online nel 2025)

In genere si fa terminare l’età moderna con la Rivoluzione francese o il Congresso di Vienna. In realtà, se si adotta un punto di vista globale ci si accorge che, fuori d’Europa, l’età moderna conosce una lunga sopravvivenza, di oltre mezzo secolo, nella quale elementi propri del mondo contemporaneo come i regimi parlamentari e lo sviluppo delle industrie si accompagnano all’architrave dell’economia atlantica, lo schiavismo, e danno vita a un frutto avvelenato del XVIII secolo che solo nel XIX trova la sua piena maturazione, l’ideologia razziale.

Mundus è realizzato da Mondadori Studios con Giulio Einaudi editore.
Voce di Monica Mazzacori.
Musiche originali, Registrazione e Post produzione IndieHub studio.

Ascoltalo su Spotify, Apple Podcast, Spreaker, Amazon Music.

Saito Kohei è un filosofo giapponese, nato nel 1987. Nel 2020 ha pubblicato Il capitale nell’Antropocene, contribuendo con più di 500.000 copie vendute solo in Giappone a una nuova ondata globale di interesse nei confronti del pensiero di Karl Marx, al centro del libro. Saito è infatti un profondo conoscitore dell’opera di Marx e, grazie al lavoro con il Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA) – la più vasta collezione al mondo di scritti dei due filosofi –, si è proposto ne Il capitale nell’Antropocene di aggiornare la conoscenza del pensiero marxiano, specie per quanto riguarda l’ecologia. Saito ha elaborato un’innovativa teoria, basata in parte su scritti inediti di Marx: il comunismo di decrescita. Si tratta di una strada per superare il capitalismo, che il filosofo giapponese considera incompatibile con la lotta alla crisi climatica e in generale con il benessere dell’umanità.
Ne abbiamo parlato con Saito Kohei lo scorso 8 ottobre a Roma:

Nell'introduzione a Il capitale nell’antropocene lei scrive: «Nell’epoca della crisi climatica, il mio auspicio è che questo libro possa liberare una forza immaginifica capace di costruire una società migliore». Questa affermazione fa venire in mente la famosa frase che Fredric Jameson scrisse nel 1994 in The seeds of time, e in particolare nella sua coda, spesso trascurata nelle successive incarnazioni della frase: «Sembra che per noi oggi sia più facile immaginare la devastazione totale della Terra e della natura che il collasso del tardo capitalismo; forse ciò è dovuto a una qualche debolezza della nostra immaginazione». Stiamo affrontando non solo una crisi climatica, ma anche una continua crisi della nostra immaginazione? E se sì, come sono collegate le due crisi?

Fredric Jameson è recentemente scomparso, ma rimane una figura fondamentale per quanto ha scritto sull'importanza del pensiero utopico. E certamente il mio libro è influenzato dall’idea dell'importanza dell'utopia, perché negli ultimi trent'anni o più, dopo il crollo dell'Unione Sovietica, anche le persone di sinistra hanno smesso di criticare il capitalismo e parlano invece di disuguaglianza. Penso per esempio a Thomas Piketty: parla di ecologia, di disuguaglianza e così via, ma non parla veramente di superare il capitalismo, anche se di recente ha cambiato un po' la sua posizione. Il punto è che, se il problema di oggi è così grande - e collasso climatico e crisi planetaria sono decisamente un grosso problema -, non possiamo semplicemente risolverlo imponendo qualche tassa in più, magari una tassa sul reddito dei ricchi. Penso sia necessario andare più in profondità. Che arrivino da sinistra o da destra, da conservatori o da progressisti, le rivendicazioni politiche stanno semplicemente convergendo. Questa è la situazione in tutti i paesi europei. E quindi ci siamo trovati di fronte all’ascesa dei populisti di destra, che sono riusciti a distinguersi dalle altre forze politiche e hanno mobilitato le persone in un modo piuttosto problematico (nazionalismo, anti-immigrazione e così via), ma sono riusciti a guadagnare visibilità e ad attrarre consensi, grazie a una generale insoddisfazione nei confronti del sistema attuale: lavoro, disuguaglianza, ecologia, tutto. Quindi sono in molti in realtà a riconoscere che c'è qualcosa che non va in questo mondo, ma il problema, specialmente a sinistra, è che la politica non è in grado di offrire alcuna alternativa. Il punto non è che non ci siano politiche concrete, che certamente non ci sono, ma che ci manchi anche solo l'immaginazione per proporre qualcosa di radicale, ed è per questo che ho iniziato a scrivere questo libro. Penso che in termini di finanziarizzazione, di tecno-feudalesimo, di cambiamento climatico, la sinistra semplicemente non stia offrendo alternative, e questa situazione deve cambiare. Ciò che ho cercato di fare è fondamentalmente questo: dobbiamo sfidare il capitalismo e se vogliamo farlo, penso che Karl Marx sia ancora molto importante. Penso che uno dei motivi per cui abbiamo smesso di parlare di post-capitalismo sia che non leggiamo più Marx, quindi sono tornato a Marx. Ho cercato di mettere in relazione le sue idee con l'ecologia, e il comunismo della decrescita di cui parlo nel libro è il risultato di questo lavoro. Penso che Il capitalismo nell’antropocene abbia avuto un grande successo in Giappone perché anche lì le persone sono alla ricerca di alternative. Ovviamente trovare il modo di implementare l’idea del comunismo della decrescita è una questione complessa, ma riconoscere la necessità dell'utopia nel senso in cui ne parla Fredric Jameson è un primo passo nella direzione giusta.

Il problema è che alcune persone – o il capitalismo, se preferite – sostengono che possiamo risolvere la crisi climatica con la tecnologia e quindi la tecnologia sarebbe una condizione sufficiente per risolvere il problema. Non sono d'accordo Saito Kohei

Parlando di immaginazione, viene in mente il famoso slogan di Herbert Marcuse degli anni Sessanta, «Potere all'immaginazione». Ne L'uomo a una dimensione (1964), Marcuse descrive la società del suo tempo come un «universo tecnologico» e allo stesso tempo come «un universo politico, l'ultima fase della realizzazione di un progetto storico specifico, vale a dire l'esperienza, la trasformazione e l'organizzazione della natura come un mero oggetto di dominio». Marcuse continua: «La produttività e il potenziale di sviluppo di questo sistema stabilizzano la società e limitano il progresso tecnico mantenendolo nel quadro del dominio». D'altra parte, lei scrive ne Il capitale nell’antropocene che «Non c’è bisogno di rifiutare scienza e tecnologia» e che è necessario abbandonare «un’economia centrata su tecnologie chiuse che facilitano il controllo dei lavoratori e dei consumatori». Questo è un punto centrale della sua riflessione, che non implica affatto un ritorno a un passato pretecnologico. Può spiegare come nel comunismo della decrescita la tecnologia non sarà più uno strumento di dominio sulla natura e sulla società?

La decrescita è spesso fraintesa come un “ritorno alla natura” con le nostre vecchie tecnologie e così via. Questo è semplicemente molto poco attraente, da un lato, e dall'altro non è sufficiente per combattere il cambiamento climatico, perché siamo di fronte a una crisi enorme e abbiamo bisogno della tecnologia per combatterla. È molto semplice e chiaro. Non sono contrario all'introduzione delle energie rinnovabili, per esempio. Abbiamo bisogno di veicoli elettrici per decarbonizzare l'economia. È scientifico, in realtà non è nemmeno scientifico, è solo buon senso. Ma il problema è che alcune persone – o il capitalismo, se preferite – sostengono che possiamo risolvere la crisi climatica con la tecnologia e quindi la tecnologia sarebbe una condizione sufficiente per risolvere il problema. Non sono d'accordo. Il capitalismo, ad esempio, produrrà veicoli elettrici più numerosi e grandi a scopo di profitto, e richiederà più pannelli solari e turbine eoliche. Questo è un modo semplicemente insufficiente per combattere il cambiamento climatico. Sembra attraente per le persone nell'UE o in Giappone perché vogliamo vivere come facciamo oggi anche in futuro, ma il problema è che questo tipo di massiccia produzione e consumo nel nord del mondo, per il bene della crescita, rafforzerà l'imperialismo ecologico coloniale - e quindi il dominio - sulle persone e sull'ambiente nel sud del mondo. Penso quindi che dobbiamo adottare un modo di vivere molto diverso, che chiamo decrescita.

In termini concreti, abbiamo bisogno di veicoli elettrici, ma allo stesso tempo dobbiamo pensare a ridurre il numero di automobili reinvestendo di più nel trasporto pubblico o preparando la strada per muoverci in bicicletta o con tecnologie simili. Dobbiamo anche avere una relazione diversa con le altre persone, con la natura e con le comunità. Penso che la bicicletta sia un ottimo esempio di tecnologia, perché il problema è che con i veicoli elettrici, pur riducendo l'impatto ambientale, non possiamo ottenere una vera autonomia. Non possiamo ripararli da soli, sono così costosi che abbiamo bisogno di prestiti per comprarli, creano ingorghi stradali e sono piuttosto pericolosi, tanto che continuano a causare incidenti mortali, e quindi alla fine sono sì una sorta di miglioramento rispetto alle automobili precedenti, ma hanno ancora molti problemi. La bicicletta, invece, è low-tech, esiste da più di duecento anni, puoi ripararla da solo, è superecologica, non è costosa e non uccide persone. Possiamo quindi reimmaginare la bicicletta come una tecnologia conviviale nel senso usato da Ivan Illich. Io chiamo questo tipo di tecnologia aperta, in opposizione alla tecnologia chiusa preferita dal capitalismo, che chiude tutte le informazioni, isola dalle altre persone e ci aliena dalla natura.

Penso che sia necessario recuperare una sorta di utopia tecnologica, ma non nel senso in cui immaginiamo la geoingegneria, la fusione nucleare e tutte le tecnologie “da sogno”; adattando invece una prospettiva di decrescita, possiamo innovare e sperimentare nuove tecnologie, che potrebbero essere molto sostenibili, buone per le comunità locali, per la salute e per l'intero pianeta. Questo è ciò che voglio sostenere attraverso il comunismo della decrescita. Ma lasciatemi sottolineare che non si tratta di una negazione della tecnologia, di un ritorno a una sorta di comunità primitiva dell'età della pietra.

Un altro punto importante del comunismo della decrescita è l'attenzione al mondo del lavoro come cuore della trasformazione della società. Nella misura in cui lei sottolinea che «chiunque cerchi di creare una società completamente diversa da quella attuale, e voglia affrontare il capitalismo, può puntare solo nella direzione del comunismo della decrescita», viene spontaneo pensare al fenomeno noto come “grandi dimissioni”. La sociologa Francesca Coin scrive in un saggio intitolato proprio Le grandi dimissioni che «il Collettivo di Fabbrica Gkn, il gruppo di lavoratori della fabbrica di semiassi di Campi Bisenzio, ha saputo trasformare l'annuncio di licenziamento da parte del fondo di investimento britannico Melrose in un laboratorio di discussione teorica e politica sulla necessita di convertire la produzione e di immaginare una fabbrica socialmente integrata a basso impatto ambientale, in grado di proteggere l’occupazione e i diritti acquisiti nel tempo, e nella quale gli operai siano coinvolti nel processo decisionale. Nonostante mille avversità e l’incuria da parte delle istituzioni, questo tipo di discussione ha aperto una breccia nell’immaginario collettivo, mostrando come il futuro debba muovere nella direzione di una produzione sostenibile che abbia come suo primo scopo la riproduzione e la cura dell’ambiente e della popolazione. In assenza di una conversazione di questo tipo, è inutile sorprendersi se le persone si disaffezionano al lavoro». Quanto questi fenomeni sono importanti per spingere le società verso il comunismo della decrescita?

Il fenomeno delle “grandi dimissioni”, iniziato durante la pandemia, da un lato ha chiarito che molti lavori di oggi sono inutili e che non vale la pena rischiare la vita per essi. Dall’altro, in quel periodo molte persone si sono rese conto in maniera più urgente che la vita a un certo punto finisce. Ci sono altre cose che in realtà vorremmo fare se sapessimo di dover morire domani. Vogliamo morire facendo qualche lavoro insulso o facendo qualcosa di significativo per la nostra vita? Penso che questa sia una domanda molto importante. Il problema è che con il capitalismo non si può davvero decidere cosa fare della nostra vita perché gli obiettivi assoluti dell'intera società sono il profitto e la crescita e quindi in cosa consiste una buona vita è determinato quasi aprioristicamente: fare soldi, lavorare per un'azienda, risparmiare per accumulare capitale, e così via. In una vera democrazia dovremmo essere in grado di riflettere e decidere insieme cosa conta per noi come collettività e per noi stessi. Ma il capitalismo rende semplicemente impossibile una simile riflessione. Quindi penso che per raggiungere una società veramente democratica sia indispensabile superare il capitalismo. Molti pensano che il socialismo sia incompatibile con la democrazia, ma io dico che il capitalismo è incompatibile con la democrazia e con una buona vita, e il comunismo e il socialismo sono le condizioni necessarie per realizzare una buona vita, la democrazia e l'autonomia. Penso che le persone ora stiano iniziando a riconoscere questo tipo di cose. Ma le “grandi dimissioni” sono solo un’espressione del rifiuto del modo di vivere attuale. Abbiamo bisogno di qualcosa di più positivo se vogliamo costruire una nuova società e spero che l’idea del comunismo della decrescita descriva la società futura in termini più positivi per le persone che hanno lasciato il loro lavoro.

 

Sally Rooney, la romanziera irlandese letta da milioni di giovani e meno giovani in tutto il mondo, ha detto che leggere Il capitale nell’antropocene l’ha aiutata tantissimo mentre scriveva il suo nuovo romanzo, Intermezzo, attualmente in cima alle classifiche dei bestseller americani e britannici. Il capitale nell’antropocene stesso ha venduto centinaia di migliaia di copie in Giappone, specialmente tra i giovani. I giovani lettori salveranno il mondo?

In realtà è responsabilità della vecchia generazione risolvere il disastro che ha creato. Quindi è un po' ingiusto dire che i giovani devono cambiare questa società, proprio nel momento in cui Greta Thunberg ci sta avvertendo delle conseguenze del cambiamento climatico e la Generazione Z negli Stati Uniti sta combattendo contro l'ingiustizia razziale, e così via. Il problema è nostro. Tornare a Marx è una strategia con due effetti: da un lato, ovviamente, è un modo per offrire ai giovani lettori una nuova idea di post-capitalismo. Non lo conoscono. Non hanno mai letto Marx. Non sanno niente del comunismo. Quindi forse hanno davvero bisogno di qualcosa di concreto per immaginare un post-capitalismo, perché conoscono solo il capitalismo. Ma d'altra parte, penso che usare Marx sia anche utile per convincere le persone più anziane, che hanno creato questa crisi, a imparare che il loro vecchio marxismo e il loro vecchio socialismo sono oggi totalmente sbagliati e vanno aggiornati; i sindacati, i politici e le persone di sinistra devono tutti imparare le implicazioni della questione ecologica, perché spesso si preoccupano solo della classe operaia. Ma l'ecologia è molto importante così come sono molto importanti la cura delle persone, i diritti riproduttivi, la decolonizzazione e la decrescita. Il comunismo della decrescita è un ottimo modo per pensare alla cura degli altri, alla natura e alla decolonizzazione. È un’idea onnicomprensiva che spero venga accettata non solo dai giovani, che soffrono di più per la precarietà e per la distruzione ambientale, ma anche dalle generazioni precedenti, in modo che le persone di tutte le età possano in qualche modo collaborare e costruire un’alleanza davvero ampia contro il capitalismo.

L'autografo di Saito Kohei

Scrivere è ciò che facciamo quando abbiamo nostalgia del presente e del passato.
È la forma migliore per fare ritorno.

Per l’uscita del nuovo romanzo di Laura Imai Messina abbiamo allestito l'Ufficio degli Indirizzi Perduti, un posto reale a cui spedire le proprie lettere di riconoscenza, d’amore, di nostalgia, di rabbia o malinconia, indirizzate a una persona amata, a voi stessi nel passato o nel futuro, a sconosciuti incrociati per caso, per comunicare tutto ciò che non siete mai riusciti a dire a voce.

 

Avete tempo fino all’11 di novembre, data in cui Imai Messina arriverà in Italia dal Giappone per iniziare il suo tour di presentazioni, e ritirare tutte le missive che sono arrivate: nei giorni successivi ne selezionerà poi alcune per leggerle durante gli incontri, e sui canali social della casa editrice. Per rispetto della privacy tutte le lettere ricevute saranno trattate in forma completamente anonima, a meno che non venga firmata e allegata la liberatoria che potete scaricare qui.

Per fargliele avere, basta inviare le vostre lettere a:

Ufficio degli Indirizzi Perduti
c/o Einaudi Editore
Via Biancamano 2
10121 – Torino

Oppure potete imbucare di persona la lettera presso le speciali cassette dedicate che troverete nelle seguenti librerie:

Bologna
Libreria UBIK Irnerio
Via Irnerio 27

Roma
La mia libreria
Via Roberto Malatesta 85

Milano
Mondadori Duomo
Piazza del Duomo

San Donà di Piave (VE)
Libreria Manzoni
Corso Silvio Trentin 106

Diego De Silva

Fosco e Alice si sono amati tanto. E tra poco, senza sapere bene perché, si diranno addio. Per questo, nel vortice di parole più o meno giuste o più o meno sbagliate, abbracci notturni, porte sbattute, avvocati nuovi di zecca e antiche recriminazioni, decidono di raccontare la loro storia a modo loro. Con ostinazione, dolore e persino ironia: tutto quello che nei documenti legali non potrà mai trovare spazio.

Con I titoli di coda di una vita insieme, Diego De Silva lascia riposare il suo personaggio più amato, l'«avvocato d'insuccesso» Vincenzo Malinconico, per consegnarci un grande romanzo sulla fine dell'amore.

Ecco alcuni estratti della calorosa rassegna stampa che sta ricevendo il libro:

«Ne I titoli di coda di una vita insieme s’alternano i punti di vista di lui e di lei, e un timbro blues, sottilmente acido, s'insinua in un registro di humour sdrammatizzante […] Questo diario della fine di un amore ha una tale quantità di sfumature riconoscibili, cioè in grado di condurci a guardare la sostanza incattivita di una vera convivenza, che i personaggi abbracciano il lettore in modo talmente stretto da fargli male».
Leonetta Bentivoglio, «Robinson – la Repubblica»

«Alice e Fosco si vogliono bene ma si separano, ognuno vorrebbe farlo a modo suo: lei con una rappresentazione enfaticamente drammatica, anche rabbiosa, proporzionale all'amore che c'è stato, lui con il silenzio e l'elusione, come se a quel punto nulla più importasse. È in quella distanza tra i due protagonisti, soltanto un passo più vicino a Fosco, che si insinua Diego De Silva. Lo fa con quell'arguzia e quella finezza di tocco che caratterizza i suoi romanzi».
Cristina Taglietti, «La Lettura – Corriere della Sera»

«I titoli di coda di una vita insieme è la cronaca di una vita coniugale, anzi due, che diventa qualche cosa d'altro, dove si racconta con sincerità e sapienza il gerundio presente di una coppia che si vuol bene ma forse non si ama più o si ama ancora ma capisce che quel qualcosa che un tempo dava il senso a tutto si è come volatilizzato, perso fra ricordi e noia, vecchie abitudini e nuove insofferenze, noia e nostalgia».
Elena Loewethal, «tuttolibri – La Stampa»

«L'autore mantiene l'ironia, ma si sofferma qui sulla ricerca del tempo perduto. Scandaglia il passato come unica possibilità per stare nel presente e, finalmente, tornare a casa (qualunque cosa voglia dire tornare a casa)».
Valentina Farinaccio, «il venerdì – la Repubblica»

«Le verità frantumate di De Silva, tagliate apposta a doppia lama, lo stesso garbo per farti ridere e piangere, vengono fuori dalla pagina quasi prima di leggerle, non c'è bisogno di posarci gli occhi sopra […] De Silva ha una specialità: ti racconta l'assenza di risposte meglio di chiunque altro».
Ester Viola, «Il Foglio»

«Tra riflessione e ironia, una luce di leggerezza illumina la scrittura della parola fine».
Maria Grazie Ligato, «Io Donna»

«…Questa misura esatta di parole perfettamente adeguate a riflettere sentimenti e pensieri è alla base della scrittura introspettiva dell'autore, del suo patto con il lettore in virtù del quale chi si appassiona alle sue storie sa che lui non gli mentirà mai. Che gli suggerirà di guardarsi dentro, ma anche di ridere di sé senza drammatizzare, senza mai prendersi troppo sul serio».
Titti Marrone, «Il Mattino»

«Pungente e con le idee chiarissime, Diego De Silva è tornato in libreria. Al centro della storia ci sono lo scrittore Fosco e l'oncologa Alice che, dopo anni di matrimonio, vanno alla ricerca delle parole giuste per dirsi addio, rifiutando di affidarsi al linguaggio sterile degli avvocati».
Francesco Musolino, «Il Messaggero»