
«Sally Rooney a soli ventidue anni ha scritto il caso letterario dell’anno. Parlarne tra amici è il romanzo sull'amore e il tradimento nel nostro tempo» .
«The New Yorker»
«Sally Rooney: ecco un nome da ricordarsi in questo inizio anno. Ha un dono naturale, e dirlo, per una volta, non è inutile affettazione. La consapevolezza del talento e la sua precocità, infatti, sono elementi fondanti del libro».
Paolo Giordano, «La Lettura – Corriere della Sera»
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Ci sono romanzi che nascono come casi editoriali, Parlane tra amici di Sally Rooney è fra questi.Vincitore al Best Young Writer 2017 del «Sunday Times» e in via di pubblicazione in venti paesi, il romanzo è stato subito accolto con grande entusiasmo.
Il «New Yorker» lo ha definito «il romanzo sull'amore e il tradimento nel nostro tempo», per il «Publishers Weekly» questo esordio è «avvincente e penetrante. La Rooney offre una prospettiva impenitente sui capricci delle relazioni, e il suo occhio descrittivo conferisce bellezza e veridicità a questa storia complessa e vivida». Anche per il Premio Nobel Kazuo Ishiguro questo debutto «è un evento davvero significativo».
A pochi giorni dall’uscita italiana, Paolo Giordano ha dedicato a Parlarne tra amici un’appassionata recensione su La Lettura – Corriere della Sera: «Sally Rooney: ecco un nome da ricordarsi in questo inizio anno. Ha un dono naturale, e dirlo, per una volta, non è inutile affettazione. La consapevolezza del talento e la sua precocità - l’autrice ha poco più di vent’anni - infatti, sono elementi fondanti del libro».
Sally Rooney: ecco un nome da ricordarsi in questo inizio anno. Ha un dono naturale, e dirlo, per una volta, non è inutile affettazione Paolo Giordano, «La Lettura – Corriere della Sera»
Frances, io narrante e protagonista di questo romanzo, ha ventun anni e ha costruito un muro fatto di intelligenza, autocontrollo e freddezza per arginare il mare delle sue insicurezze. Affronta la vita sentendosi indefinita e confusa. La sua adolescenza è inquieta e solitaria, vissuta con il peso di una famiglia infelice alle spalle. Poi incontra Bobbi, che diventa sua amica, sua compagna di studi e suo primo amore.
Bobbi sembra sempre la sua versione migliore. Più bella, più cool, più trasgressiva, più impegnata, più lesbica, più ricca. Ma una sera nella loro vita irrompono prima Melissa e poi il suo bellissimo marito Nick, una coppia borghese che affascina e coinvolge le due amiche portandole a scelte che le cambieranno profondamente.
Il romanzo, scritto con intelligenza e sensibilità, «è di seconda formazione, se può esistere una categoria del genere. Racchiude in sé tutta l'inconsapevolezza luminosa dei vent’anni, la confusione, il tedio, l'indecisione e al tempo stesso l'arroganza che hanno caratterizzato ognuno di noi a quell'età» (Paolo Giordano, «La Lettura – Corriere della Sera»).

La dimostrazione che si può avere un’esistenza avventurosa anche seduti su uno sgabello Giuseppe Culicchia, «la Repubblica»
Shaun Bythell a trentun anni e un mese diventa proprietario di una libreria dell'usato nel cuore di Wigtown, un paesino sulla costa scozzese. Non ha ancora letto il saggio Ricordi di libreria di Orwell, altrimenti avrebbe avuto un «salutare avvertimento» su ciò che lo attendeva.
Nel 2014 inizia a scrivere un diario in cui racconta il suo mondo e quello dei lettori, veri o finti, che entrano nel suo negozio, una sorta di grotta di Aladino frequentata da clienti abituali, che sanno quello che vogliono, e altri che si fingono interessati ma che in realtà non subiscono il fascino della lettura: alcuni sono cortesi, colti, altri scortesi, maleducati o stravaganti.
Il risultato di questi appunti è Una vita da libraio, un «delizioso diario di un mestiere che si può fare solo con amore e, nel suo caso, con una buona dose di humor inglese, anzi scozzese. La dimostrazione che si può avere un’esistenza avventurosa anche seduti su uno sgabello» (Enrico Franceschini, «il venerdì – la Repubblica»).
Shaun è un libraio che non intende mollare, «ma tre le righe non di rado spassosissime si percepisce la rabbia di un animale consapevole di appartenere a una specie in pericolo, visto che ad assottigliarsi è anche il numero di coloro che si ostinano a compare libri in libreria non solo per abitudine o perché incredibilmente non hanno ancora un computer, ma perché sanno che l’unico modo per garantire la sopravvivenza delle librerie è farle lavorare. Da ex collega, ringrazio Shaun Bythell per questo divertente cahier de doléances. Ne condivido la passione, l’amarezza e anche la rabbia» (Giuseppe Culicchia, «la Repubblica»).
Bythell vive circondato da libri, circa centomila volumi distribuiti in stanze che si rincorrono come un labirinto, zeppe di erudizione; esce per entrare nelle case di chi vuole liberarsene, a volte trova tesori, altre volumi apparentemente invendibili. I suoi sopralluoghi sono vere avventure, il senso di attesa che prova prima di varcare la soglia non ha paragoni; scopre testi ma anche persone, e il viaggio dentro quelle abitazioni raccontano tanto di chi le ha abitate.
Nonostante le difficoltà, per l’autore diventare libraio è stata la scelta migliore della sua vita, come ha ammesso a Enrico Franceschini per il venerdì – la Repubblica: «vendere libri è come fare il kamikaze: quando decidi, non c’è modo di tornare indietro».
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È possibile fare un tour virtuale nella libreria grazie al video pubblicato dall’autore tramite il suo account Youtube.
L'ultimo libro di Nathan Englander è, come al solito, magnifico: un'opera di precisione psicologica e forza morale che cattura con pari immediatezza sia l'eterna verità umana sia gli smarrimenti del presente Colson Whitehead
Due personaggi, due ombre, dominano il nuovo tesissimo romanzo di Nathan Englander, Una cena al centro della terra: il prigioniero Z e il Generale. Il prigioniero è un americano senza nome, chiuso da dodici anni in una cella nel deserto di Negev, sorvegliato da telecamere che registrano e contrassegnano ogni movimento. Ha come unica compagnia un secondino e scrive molte lettere al Generale, quasi un alter ego di Ariel Sharon, per riavere la libertà, senza sapere che è ormai prigioniero del suo corpo, in un ospedale di Tel Aviv.
Z ha combattuto e ucciso per il suo paese, ha avuto nelle sue mani il destino di una nazione, ha parlato e ascoltato due lingue, quella della Bibbia e quella dei fucili. Nella storia, che è psicologica e politica, compaiono altri personaggi, che intrecciano le loro storie, muovendosi in luoghi e tempi diversi. C'è Ruthi, madre del sorvegliante che accudisce il Generale, un morto «così potente che continua a vivere» e c'è il figlio, il sorvegliante che osserva e parla con «un vivo che è già morto».
Una cena al centro della terra tesse «una maglia narrativa coesa e densissima, dove spie in fuga e traffici internazionali si incrociano ai tragitti dell’esistenza individuale e alle rapaci incursioni della storia nella convulsa attualità […] una narrazione insieme estrosa e serissima, in una catena di rispecchiamenti e corrispondenze, di storie che fanno eco ad altre storie, dove tutto è sempre sul punto di rovesciarsi nel suo contrario» (Massimiliano De Villa, «il manifesto»).
Centrale nel romanzo è anche la complicata situazione in Medio Oriente. È lo stesso autore, in un’appassionante conversazione con Gianni Riotta, ad ammettere di non capacitarsi come non si riesca a trovare una soluzione pacifica al conflitto: «Tutti sanno quali sarebbero le soluzioni, palestinesi ed israeliani lo sanno, tutti sanno dov’è la chiave, nessuno apre la porta. Per questo ho scritto Una cena al centro della terra, per strillare “rivoglio indietro la mia pace! Non potete fregarmela per sempre!” […] La sola strada per comprendersi tra nemici in questa terra ferita è l’empatia».
Tutti i personaggi sono vicini e opposti, prigionieri di una realtà, anche quelli che vivono lontano dal dramma di una terra senza pace. «Un nuovo romanzo, diverso, originale, sempre sospeso tra la riflessione morale e la spy-story, che ci fa sprofondare in una realtà dove le ragioni e i torti dell’uno si rovesciano in quelli dell’altro, rifrangendosi in un ininterrotto gioco di specchi» (Franco Marcoaldi, «D – la Repubblica»).
Una profonda meditazione sullo stato di Israele e insieme un thriller avvincente, denso di colpi di scena e ambiguità morali. Una gioia da leggere «The Jewish Chronicle»

«Omero ha una definizione per coloro che si sanno esprimere in modo tanto ammaliante: hanno parole alate. Mendelsohn ha parole alate».
«The Times»
«Un libro riuscito e coraggioso, che è la dimostrazione della validità del messaggio più imperituro dell'Odissea, ovvero che l'intelligenza vale poco se non si allea con l'amore».
«The Observer»
«Questo libro bellissimo è un inno alla filologia nell’accezione più vasta e commovente che le si può attribuire».
Alessandro Piperno, «La Lettura – Corriere della Sera»
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Jay Mendelsohn è stato un padre duro, severo, avverso alla scelta del figlio Daniel di allontanarsi dallo studio delle scienze esatte. Eppure, a ottantun anni, si muove da Long Island, dove è sempre vissuto, per andare al Bard college ad ascoltare dalla voce del figlio la storia di Odisseo. Daniel è uno studioso di lettere classiche, filologo, docente di Letteratura al Bard College e autore di questo raffinato e struggente memoir, Un’Odissea.
Questo incontro, a semestre concluso, prosegue oltre le mura dell'aula, in un'improbabile crociera a tema sulla via di Itaca. Un viaggio sulle orme di Ulisse, padre,figlio e marito che vuole tornare a casa, che si snoda attraverso pagine colte e pregnanti di significati psicologici e morali, e si sviluppa in ampi cerchi che coinvolgono Telemaco e Laerte, Daniel e il suo vecchio padre. Viaggia Odisseo per tornare a Itaca, viaggia il figlio, alle soglie della virilità, in cerca di un padre che non conosce.
Mendelsohn dà «voce ad entusiasmanti dilemmi filologici e a questioni morali poste dal poema omerico in merito a eroismo, amore filiale, dissimulazione, fedeltà coniugale» (Alessandro Piperno, «La Lettura – Corriere della Sera»).
La lettura dell'Odissea prepara ad attendersi l'inatteso, Ulisse è l'uomo polytropos, «dalle molte svolte», che parte e ritorna; anche l'autore va avanti nella conoscenza dell'eroe e di sé, torna indietro rievocando il passato, conosce un padre diverso, non così lontano da lui. In questo nuovo libro si riafferma la convinzione dell'autore che il viaggio è sia allontanamento, scoperta, sofferenza e perdita delle certezze sia esperienza unica per conoscere se stessi e scoprire la propria identità.
Attraverso le pagine dell'epopea omerica e il viaggio nei luoghi toccati da Ulisse si costruiscono le storie di padri e figli, e «per capire quanto è prezioso e affascinante questo libro occorre immergersi nel cuore profondo dell’ispirazione di Mendelsohn, il motore che dà ritmo alla prosa» (Alessandro Piperno, «La Lettura – Corriere della Sera»).
A marzo Einaudi ha pubblicato anche Gli scomparsi, riproposto nei Tascabili in un nuova traduzione di Giuseppe Costigliola. È il libro che ha reso celebre l’autore anche in Italia, vincitore del National Book Critics Circle Award 2006 e del Prix Médicis 2007. Un viaggio, reale e letterario, alla ricerca di una famiglia, quella dello zio Shmiel, sterminata dai nazisti a Bolechow. È il tentativo di ricostruire la loro storia attraverso le testimonianze dei superstiti: «Epico e intimo, ricco di riflessioni ma anche di tensione, tragico e al tempo stesso ironico. Gli scomparsi è semplicemente un libro meraviglioso» (Jonathan Safran Foer).

«Una lettura eccitante e coinvolgente regalataci da una delle migliori scrittrici di thriller del momento».
«The Guardian»
«Tana French ispira nei suoi lettori una devozione quasi religiosa».
«The New Yorker»
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L'intruso è il nuovo romanzo di Tana French, autrice nata negli Stati Uniti e cresciuta tra Irlanda, Italia e Malawi. È considerata dal Washington Post «la scrittrice di crime più interessante e più importante emersa negli ultimi dieci anni».
Il libro all'estero ha avuto uno straordinario successo: il Guardian lo ha definito «una lettura eccitante e coinvolgente», per l'Independent non lascia scampo. Come i suoi precedenti romanzi, è stato in cima alla classifiche internazionali, 2° sul New York Times, 3° sul Los Angeles Times e 1° sullo Spiegel.
A pochi giorni dall'uscita, anche in Italia la lettura de L'intruso sta suscitando grande entusiasmo da parte dei lettori, della critica e di autori del calibro di Massimo Carlotto, Maurizio de Giovanni e Carlo Lucarelli:
Nell'intervista rilasciata a Repubblica, Tana French sostiene «di aver imparato molto da scrittori come Agatha Christie e Patricia Highsmith ma di preferire altri che hanno rotto definitivamente i canoni, come Lehane o la Donna Tartt del Dio di illusioni: il grezzo mistero mescolato a letteratura purissima». Mistero che, sempre secondo l'autrice, «è la cosa più importante per l'uomo, perché scuote l'essenza stessa del'umanità, in ogni sua forma».
Per Giuliano Aluffi «si conferma maestra del tratteggio psicologico e nel realismo dei dialoghi, soprattutto quelli più tesi come gli interrogatori, abilità che le viene anche dal suo passato di attrice di teatro» («il venerdì - la Repubblica»).
Antoinette Conway è una giovane detective della squadra Omicidi di Dublino dove è entrata nel momento sbagliato e ed è partita con il piede sbagliato. Intelligente, preparata ma impulsiva, si sente giudicata dai colleghi uomini, non solo per il suo essere donna ma perché coinvolta nella lotta quotidiana per il potere nell'ambiente di lavoro. Ha imparato a non lasciarsi spingere giù e si difende da subito, a volte con rabbia, da chi la vuole emarginare dal branco: «Antoinette rappresenta la disumanizzazione, non solo fisica, ma mentale di tutte le minoranze» (Tana French, intervistata da Antonello Guerrera, «la Repubblica»).
È single e senza figli come il suo partner, Steve, un compagno giusto anche se un po' troppo casinista. Il caso in cui sono coinvolti, insieme all'odioso Breslin, sembra il classico crimine domestico, una lite fra innamorati: una giovane donna, Aislinn, che sembra una barbie, giace a terra, nella sua ordinatissima casa. Chi è l'assassino, un uomo freddo e calcolatore o un giovane innamorato travolto dalla rabbia? Il principe azzurro o un amante misterioso? Ci sono troppe interferenze, troppe ombre nella vicenda. E quando Conway inizia a indagare sul serio, quello che doveva essere un caso scontato prende una piega inattesa.
Una meraviglia, puro piacere, un poliziesco dal gran ritmo, ma pieno di sfumature... French pensa e architetta trame come pochi altri «Los Angeles Times»

Nello spazio di una pagina, Gay sa passare dalla leggerezza alla satira sociale, intessendo la propria vicenda di un'ironia straziante «The Guardian»
«Luminoso, dotato di uno straordinario rigore intellettuale e davvero commovente».
«The New York Times»
«Roxane Gay qui dentro dice cose che offendono tutti i canoni che ho sul femminile, io che i canoni lavoro ogni giorno per abbatterli. Mi ha messa davanti ai pregiudizi di cui sono portatrice, oltre che vittima. Mi ha costretta a ripensare con le sue parole molte delle cose che sapevo, ma che le mie parole non avevano saputo dire».
Michela Murgia
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Fame è la storia di un corpo, dentro il quale una donna si è rinchiusa per anni, con tutti i suoi demoni. Uno stupro subito da giovanissima l'ha portata a desiderare di essere indesiderabile, indegna delle attenzioni degli uomini; il grasso è diventato una fortezza impermeabile, una gabbia dalla quale dopo tanti anni cerca di uscire. La donna in questione è Roxane Gay, autrice di questo memoir e fra le più importanti femministe americane.
Il libro negli Stati Uniti è diventato un caso editoriale che ha ribaltato molti stereotipi sul corpo femminile, sulla violenza di genere e sulla ricerca di sé, entrando persino nei bestseller. Per il San Francisco Chronicle è «un libro indimenticabile. Si potrebbe pensare che quella di Gay sia una sconfitta, visto che non è riuscita a perdere i chili di troppo e a conformarsi al modello dominante, ma il suo passaggio dalla vergogna all’amore di sé è la vittoria più importante di tutte».
Roxane Gay sceglie di raccontarsi perché non può più tacere, non può più far finta che nella sua vita non sia successo niente. Il cibo le ha permesso di costruire il guscio per seppellirvi la ragazza che era e che ora cerca di riportare alla luce. Il racconto, impietoso, sincero, è una sfida a guardarsi senza giudicare, un tentativo coraggioso di spiegare come si può arrivare ad essere «patologicamente obesa» in un tempo in cui il corpo della donna deve offrirsi sempre giovane, perfetto, seducente.
In un appassionato commento al libro, Michela Murgia sostiene che l’autrice «in apparenza ti parla del suo corpo ferito, ma sta parlando di una società che nel corpo si rappresenta e che contro i “corpi ribelli” è violenta e giudicante, intimorita dalla diversità. Parla della sua anima compromessa, ma rivela anche il dente cariato nascosto nel sorriso di un Occidente in cui persino all'anima è richiesta una forma perfetta […] Roxane Gay ha rotto il patto del silenzio e si è presa la responsabilità di raccontare l'incubo americano in un mondo che dell'America vuole solo il sogno».
Troppi segreti, per troppi anni, con se stessa e con gli altri, «scrivere è stato terapeutico anche se non era il motivo per cui l’ho fatto. Mi ha permesso di guardare oggettivamente indietro e avere più rispetto per la mia storia» (Roxane Gay intervistata da Anna Lombardi, «Robinson - la Repubblica»).
Fame, in America, ha anticipato di pochi mesi il movimento #metoo: «Non so se ho aperto la strada, ma spero di aver dato un contributo significativo. Il movimento #metoo è eccellente: quello in atto è un cambiamento reale, anche se per ora abbiamo solo scalfito la superficie» (Roxane Gay, «Robinson - la Repubblica»).

«L’autore entra nello stato d’animo dei personaggi non svelandolo direttamente, ma descrivendo i gesti del corpo, le reazioni fisiche. E in questo mostra di mettere a frutto le sue qualità migliori: di osservatore e narratore».
Alessia Rastelli, «Corriere della Sera»
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Roma, giugno 1625. La giovane Leonora Baroni, con una lanterna tesa in avanti, avanza nei cunicoli delle catacombe di Domitilla, seguita da uno spasimante. Non ha paura del buio o di turbare la quiete dei defunti. La luce del lume, però, illumina un cadavere e, vicino al corpo, una donna completamente nuda con la faccia di capra. Inizia così Il monastero delle ombre perdute, il nuovo romanzo del maestro italiano del thriller storico Marcello Simoni, ambientato in un secolo dove superstizioni, enigmi, oscurantismo si intrecciano alla lotta contro il potere della Chiesa, dell'Inquisizione e dell'Indice.
Ad indagare su questo mistero è l'inquisitore fra' Girolamo Svampa, già protagonista de Il marchio dell'inquisitore, richiamato da padre Francesco Capiferro, segretario della Congregazione dell'Indice, dal suo esilio in Toscana.
«Capitoli brevi, numerosi protagonisti e colpi di scena, rigorosa documentazione storica, caratterizzano, come i precedenti, questo libro di Simoni, la cui scrittura si fa qui più ricercata. Quasi sempre l'autore entra nello stato d'animo dei personaggi non svelandolo direttamente, ma descrivendo i gesti del corpo, le reazioni fisiche. E in questo mostra di mettere a frutto le sue qualità migliori: di osservatore e narratore». Fra catacombe, idoli dall'aspetto sconvolgente, donne bellissime e dalle parentele ingombranti, in un Seicento quanto mai gotico, è «abile anche il coinvolgimento nell'intreccio fittizio di personaggi storici, che consente di assaporare la trama su più livelli di lettura e rimandi ad altro» (Alessia Rastelli, «Corriere della Sera», link).
Lo Svampa è abituato a cercare prove oggettive nella sua caccia al Maligno e il suo metodo non si basa sulle superstizioni diffuse tra il popolo e le alte sfere del clero. Lo stesso autore del romanzo, nell'intervista per RepTv, sottolinea l'importanza di questo aspetto: «Avevo bisogno di una prova, un indizio tangibile, del fatto che l'omicidio della vittima fosse dovuto al Maligno. Perciò lo Svampa si imbatte in quello che allora veniva definito il punctum diabolicum: secondo le credenze dell'epoca era il punto del corpo in cui il diavolo toccava l'essere umano, rendendolo suo servo o uccidendolo. Il punctum, in realtà, nel romanzo viene provocato in altro modo, in un modo molto ingegnoso che ho dovuto studiare, ho dovuto inventare, per giustificare un qualcosa che sembra sovrannaturale ma in realtà non lo è».
Borne è il nuovo romanzo di Jeff VanderMeer, autore di culto, capofila del New Weird. È noto soprattutto per la straordinaria Trilogia dell’Area X, adorata da Stephen King, elogiata in Italia da Paolo Giordano e Michela Murgia, e che da marzo sarà su Netflix, con protagonista il Premio Oscar Natalie Portman. Annientamento è il titolo dell'adattamento cinematografico.
Lo scrittore statunitense ci porta fra le macerie di una città in rovina, in un mondo che per la rivista Kirkus «ricorda La strada di Cormac McCarthy». Qui la cacciarifiuti Rachel si imbatte in una creatura misteriosa che decide di prendere con sé, dandole il nome di Borne.
Ma cos’è Borne? Una persona, un mostro, una bio-tec creata dalla Compagnia - l'enigmatica società che controlla la Città? All'inizio è poco più di una pianta che cresce a una rapidità impressionante: è un bambino curioso e frenetico; è un anemone di mare gigante che muta forma e colore. Mangia e non espelle nulla, assorbe, impara a parlare e in un istante si può trasformare in una pietra o in un umano.
Con Borne, VanderMeer prosegue la sua indagine sulla grazia malevola del mondo: ed è una meraviglia totale Colson Whitehead
L’arrivo di Borne spezza gli equilibri nella vita di Rachel: altera il rapporto con il compagno Wick alla Scogliera (il loro rifugio), la costringe a rivivere il passato e a rivalutare il presente, dominato da Mord, l’enorme orso volante bio-tec simile a un dio, creato dalla Compagnia. Per la prima volta si sente madre.
Per il Pulitzer 2017 Colson Whitehead «con Borne, VanderMeer prosegue la sua indagine sulla grazia malevola del mondo: ed è una meraviglia totale»; il romanzo invita il lettore a riflettere sull'esperienza della perdita, del tradimento, sull’importanza della fiducia. «Ma c’è qualcosa in più in quest’essere che VanderMeer mette in scena, ed è la sua capacità di mostrarsi come una sorta di intelligenza collettiva, in grado di inventarsi un nuovo linguaggio e una nuova forma di conoscenza» (Christian Raimo, Tuttolibri – La Stampa).
L’autore «ci ha portato, come in un labirinto di specchi, a porci di fronte a una specie di grande metafora della letteratura, della sua possibilità di genesi infinita, in un mondo come il nostro che sembra condannato alle sue narrazioni imposte dalla ripetizione del presente» (Christian Raimo, Tuttolibri – La Stampa).
A conferire ulteriore fascino al libro è la copertina creata da Lorenzo Ceccotti, in arte LRNZ, già autore di quelle della Trilogia e dell’Omnibus negli Einaudi tascabili.
Bella mia è il secondo romanzo di Donatella Di Pietrantonio, reduce dal trionfo di critica e pubblico per L’Arminuta, vincitore del Premio Campiello 2017. Il libro, ora nei Super ET con una postfazione dell'autrice, ha partecipato al Premio Strega 2014 e ha vinto il Premio Brancati e il Premio Vittoriano Esposito Città di Celano.
Il sisma del 2009 ha sconvolto L'Aquila, ha trasformato il suo volto, ha cambiato non solo i luoghi ma i cuori e le anime dei sopravvissuti. Caterina, protagonista e io narrante di questo romanzo, struggente ma aperto alla speranza, deve affrontare, come tanti, il trauma del presente e le ferite del passato. La sua storia, quella della madre anziana strappata alle sue rassicuranti abitudini e quella del nipote, raccontano la perdita, il lutto sullo sfondo di una città che è sempre lì a ricordare e testimoniare la devastazione.
Come si possono ricomporre i cocci di una vita quando la terra trema e rimescola luoghi, prospettive, relazioni? Colson Whitehead
Nella nuova casa, situata nei Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili (C.A.S.E.), che «puzza di nuovo», deve provare a reinventare la sua vita. Marco, suo nipote, figlio della sua gemella Olivia morta la notte del sisma, è venuto a stare con lei, fuggendo da un padre a cui rimprovera molte cose; è «alto, secco, un corpo di linee spezzate e mai curve, con una fioritura di brufoli», rabbioso adolescente rinchiuso nel «suo recinto di capelli».
«Schiacciato dal peso di un lutto devastante» (Donatella Di Pietrantonio, «Rai Letteratura», link), il ragazzo rifiuta la realtà con atti violenti, non perdona il padre che non c'era quella notte, non perdona gli ingegneri che hanno permesso che la sua casa crollasse. Caterina deve affrontare questo adolescente disperato, «una donna che aveva rinunciato all’esperienza della maternità, che non se ne sentiva capace» (Donatella Di Pietrantonio). Era sempre vissuta all'ombra di Olivia ma, pur amandola, si vedeva come «la sua brutta copia»; era lei che «aveva i poteri», era lei che stregava uomini e animali. Con i ricordi che mordono «con denti da iena» deve accettare la sfida, convivere con le macerie fisiche della città, tentare per sé e per il nipote una possibile rinascita.
Bella mia, titolo ispirato a una canzone abruzzese dedicata alla città dell’Aquila, è un romanzo che parla con straordinaria forza poetica dell’amore e di ciò che proviamo nel perderlo. Ma soprattutto della speranza e della ricostruzione: la ricostruzione di una città squassata dal sisma e la ricostruzione ancora più faticosa della fiducia nella vita.
Un caso internazionale: in via di traduzione in sette paesi, ancora prima della sua uscita in Italia. Colson Whitehead
Il romanzo, nelle parole di Stefano Massini (Lehman Trilogy) «è un trattato sul rischio dell'amore, e specularmente sull'amore per il rischio». L'autrice ha lavorato per anni a Londra in una banca d'affari e mette al centro del romanzo proprio l'ambiente della finanza, un mondo dominato dal caos, dalla tensione. È la stessa Pezzali, nell'intervista a Repubblica.it, a sottolineare come «la vita vera rappresentata nel romanzo esce dalla rappresentazione classica cinematografica della finanza e va un po' dietro le quinte»: non ci sono solo persone che corrono e si agitano osservando numeri volubili, ma anche tanta mediocrità.
Giulia, la protagonista di Lealtà, lavora a Londra in una banca d'affari. È un luogo fondato su regole quasi religiose dove lei si muove lontana dalla felicità ma non a disagio tra molto denaro, pochissimo tempo libero e rapporti che, fatta eccezione per il sesso, mirano soprattutto al mantenimento della reputazione.
Nello stesso ambiente conduceva la propria esistenza anche Michele, verso cui al tempo dell'università, a Milano, lei aveva sviluppato un'ossessione sentimentale ed erotica. In una mattina speciale per il mercato, il brillante capo di Giulia fa il nome di Michele e lei si trova a ripercorrere una vicenda che credeva sepolta, ad indagare la dimensione emotiva del dolore e dell'amore, la loro origine genetica.
La loro vicenda d'amore nasce come una guerra persa in partenza: c'è un'attrazione fisica potente contrastata però da un contesto ostile. Oltretutto Michele è sposato, e ha una figlia. Giulia arriva a mandargli fino a sessanta messaggi al giorno, lui la allontana per poi riprenderla in un balletto fra alti e bassi degno dei deliri di Wall Street.
«Ogni libro contiene in fondo una domanda, io credo che in questo caso essa abbia a che fare con la doppia (e simultanea) faccia dell'amore, potentissimo e fragile, simile al numero di un equilibrista: negare il baratro sotto i suoi piedi equivale ad azzerarne la poesia» (Stefano Massini, «Robinson - la Repubblica»).