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Le cuoche che volevo diventare
Il libro
Banale, ma vero: la parola chef non ha femminile. Stelle, forchette, cappelli e allori non salvano nemmeno grandi cuoche come Nadia Santini o Carme Ruscalleda dal sospetto di trascurare la famiglia per l’hobby della cucina.
Se nessuna donna è chef, allora tutte sono cuoche che si raccontano attraverso i piatti che cucinano. C’è Sadjia Masshour, insegnante di francese fuggita dall’Afghanistan che ora cucina mantu e ashak nel suo ristorante a Parigi; c’è Beth Partridge, che cucina italiano in un ristorante di Chicago, sognando il nostro Paese dove non è mai stata; c’è Margherita, maestra a Modica di quel che suo figlio, lo chef Carmelo Chiaramonte, definisce «la cucina imperfetta delle madri»; c’è Laura Maioglio, che non cucina ma sa talmente bene ciò che vuole da porsi alla guida del suo ristorante, lo storico Barbetta di New York, come chef’s coach, «allenatrice di cuochi».
E tante altre, anche meno note, maestre anonime di gesti e virtú, che di cucina in cucina, di racconto in racconto, conquisteranno noi e la voce narrante, svelandoci le loro ricette piú riuscite e i loro trucchi del mestiere.
Le cuoche che volevo diventare ha vinto il Premio Internazionale di Letteratura Enogastronomica «Minori-Costa d’Amalfi» 2008.