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Dare l’anima
Il libro
Questa storia pone un problema moralmente inquietante, tale che chi la considera non può minimamente godere della distanza temporale come della riva sicura da cui si guarda un naufragio lontano. La vita di una donna si intreccia qui con quella del figlio da lei concepito, partorito e ucciso. La vita e la morte del figlio derivano da lei e su di lei reagiscono in un legame indissolubile, di cui è parte essenziale la violenza fatta e subita.
Che cosa è possibile conoscere di chi resta ai margini della società o vi si affaccia solo per il tempo brevissimo di una nascita subito seguita dalla morte? Questa domanda antica è qui riproposta alla luce della storia di una donna, processata per infanticidio, e di suo figlio. La ricerca ha condotto in direzioni diversissime: accanto a esigue tracce anagrafiche e processuali è stato necessario esplorare il vasto territorio occupato dall’infanticidio come peccato e come delitto, come pratica diffusa nella società cristiana e come ossessiva proiezione mentale contro l’umanità «altra» di ebrei e streghe. Accanto alla lunga disciplina per convogliare la riproduzione umana nel matrimonio è emerso il peso di una intera tradizione teologica e medica nell’esplorare le forme della trasmissione della vita nel contesto di una religione dominata da un Dio diventato uomo in un corpo di donna. Fissare l’attimo iniziale della vita fu il problema su cui si vennero progressivamente concentrando conoscenza scientifica e dottrine religiose. La vicenda di Lucia rimanda a quelle di moltissime donne dell’epoca sua, il suo caso si situa nel quadro delle concezioni dell’identità umana e dei rituali elaborati per fissare i confini tra i vivi e i morti. La sorte sua e quella di suo figlio appaiono cosí inestricabilmente legate al modo in cui quella cultura risolse un problema antico e ricorrente nella storia delle nostre civiltà: se esista e in che cosa consista la speciale natura dell’essere umano.