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A morte il tiranno
Abbattere il tiranno: un progetto, un sogno, un incubo, lungo mezzo secolo di storia d'Italia.
Il libro
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento gli anarchici italiani rappresentarono una minaccia terroristica globale. Sia per l’importanza politica dei loro bersagli (miravano ai primi ministri come alle teste coronate), sia per la risonanza sociale della loro propaganda (si battevano per il trionfo di una giustizia proletaria), furono le bestie nere delle polizie di tutto il mondo. Dentro i confini della penisola italiana, la violenza anarchica prese di mira – una dopo l’altra, e con alterno successo – le massime incarnazioni di un potere riconosciuto come carismatico, eppure denunciato come tirannico: il premier Francesco Crispi, il re Umberto di Savoia, il duce Benito Mussolini. Ma chi erano i cattivi della favola, e chi i buoni? Quali le forze del progresso, e quali della reazione? Muovendo dall’Italia liberale per approdare all’Italia fascista, il libro di Erika Diemoz ritrova i fili nascosti che mantennero unita questa trama storica di anarchia e di violenza.
«Ho attentato al capo dello Stato perché egli è responsabile ai miei occhi di tutte le vittime pallide e sanguinanti del sistema che egli rappresenta e fa difendere». Queste le parole pronunciate dall’anarchico Gaetano Bresci nella Monza del 1900, pochi istanti dopo avere sparato contro il re Umberto I, uccidendolo. Anziché essere ricostruito come episodio a sé stante, il regicidio che tragicamente inaugurò il Novecento italiano viene qui collocato entro una cornice storica di lungo periodo. Ponendo in relazione la sanguinosa attività delle conventicole anarchiche con la difficile crescita delle istituzioni liberali, il libro si interroga su come e su quanto gli attentati del tardo Ottocento e del primo Novecento abbiano contribuito ad alimentare una cultura dell’illegalità già diffusa, in Italia, per altre ragioni o per altre vie. Specularmente, il libro si interroga su come e su quanto la risposta degli apparati istituzionali, delle classi dirigenti, dell’opinione pubblica, abbia contribuito a plasmare la storia di un Paese periodicamente tentato – dall’età di Crispi all’età di Mussolini – di acquisire il consenso attraverso soluzioni carismatiche, e di stroncare il dissenso attraverso soluzioni autoritarie.