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Nel groviglio degli anni Ottanta
La politica, gli amori, le delusioni: i giovani degli anni Ottanta raccontati in un libro fuori dagli schemi.
Il libro
Durante il movimento della Pantera, nelle facoltà occupate, compare uno striscione con scritto: «Qui finiscono gli anni Ottanta». Che cosa volevano dire gli studenti? Che cosa finiva veramente? Gli anni Ottanta, per l’appunto. Frivoli, edonisti ed effimeri quanto si vuole, ma pure attraversati da passioni politiche profonde, da tutti gli entusiasmi capaci di dare forma all’esperienza collettiva. La musica è stata il loro grande veicolo. Fruita nei modi piú diversi, dal walkman al concerto nello stadio, ha tenuto buoni i giovani, ha celebrato i nuovi orizzonti consumistici dell’epoca, ma ha anche alimentato la loro inquietudine per altri tempi e altri luoghi, dando fiato al rimpianto e alla nostalgia e, insieme, parole alla rivolta. I ragazzi degli anni Ottanta sono stati i testimoni di molte fini, ma hanno anche visto sorgere un mondo nuovo, interconnesso e globale. Hanno viaggiato come non era mai accaduto alle generazioni precedenti e hanno dovuto fare i conti con l’emergere della nuova questione etnica. E allora, qual è la loro storia, che bambini sono stati e quali case hanno abitato, in che tipo di famiglie? Lungo quali strade si sono poi messi in cammino, con chi e cosa hanno dovuto confrontarsi? Quali, infine, i rapporti con la generazione precedente, con quel Sessantotto in particolare che cosí prepotentemente ha occupato gran parte dell’orizzonte della loro formazione? Venuti dopo, i ragazzi degli anni Ottanta si sono sentiti come chi è nato troppo tardi. Uscire da questa condizione è stata la loro impresa.
«Nascere troppo tardi» è l’espressione di un sentimento. Di chi viene dopo una grande frattura, di solito una rivoluzione. L’ambiente in cui cresce, le voci autorevoli che ascolta, lo educano nella convinzione di aver perso qualcosa di molto importante, mancando un appuntamento decisivo con la storia. Chi è nato troppo tardi coltiva perciò segretamente la speranza in un nuovo inizio, che offra l’occasione per mettersi alla prova. Che tocchi finalmente a lui, come è toccato agli altri venuti prima di lui. A loro modo, si sono sentiti nati troppo tardi anche i protagonisti di questo libro, venuti dopo il Sessantotto. Figli, spesso in senso letterale, di quell’anno mirabile, hanno avuto in sorte di crescere negli anni Ottanta. Questo libro dunque è l’epopea di un sentimento. Un’epopea minore, certo, e inconcludente. Un po’ bislacca, forse. Come si conviene ai suoi protagonisti. Ma qualcosa la racconta pure sul nostro presente. Vi stanno di fronte due grandezze e due modi di plasmare un medesimo sentimento, quello che ciascuno di noi si forma di se stesso – e che sul piano della storia collettiva le generazioni producono nei modi più diversi, nella letteratura, nella musica, nell’arte, nella politica. C’è il sentimento di chi ha visto la propria tensione all’azione risolversi in un caloroso applauso, come se tutti non aspettassero altro. E c’è il sentimento di chi, al contrario, quando ha provato a far sentire la propria voce ha dovuto fare i conti con uno sguardo carico di degnazione. Benevolo, certo, ma annoiato e distratto.