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«La Difesa della razza»
Il libro
Molto citata ma ancora poco conosciuta nelle sue vicende specifiche, la rivista «La Difesa della razza» fu pubblicata con cadenza quindicinale dal 5 agosto 1938 al 20 giugno 1943 sotto gli auspici del ministero della Cultura Popolare e giocò un ruolo fondamentale nella definizione della «questione razziale» in Italia e nella diffusione dell’antisemitismo negli anni cruciali della discriminazione e persecuzione degli ebrei. In questa prima approfondita ricostruzione storiografica, settant’anni dopo la promulgazione delle leggi razziali, Francesco Cassata ricompone la parabola politica e intellettuale del periodico fascista: i cospicui finanziamenti che lo sostennero, la linea editoriale e le sue variazioni, il linguaggio e i contenuti, la veste grafica aggressiva e non convenzionale. Un lavoro fondamentale per comprendere il volto autentico del fascismo.
«La Difesa della razza» nasce nell’agosto 1938 dalla saldatura di due distinti ambiti razzisti: da un lato il gruppo di giornalisti legati da tempo a Telesio Interlandi e ai periodici da lui diretti; dall’altro, alcuni degli scienziati firmatari, nel luglio 1938, del cosiddetto Manifesto della Razza. Tale nucleo originario si caratterizza per l’impostazione prevalentemente biologica del problema razziale: una linea che impegnerà la rivista in aspre polemiche con le altre correnti del razzismo fascista: rispettivamente quella nazionalista (Acerbo, Pende) e quella esoterico-tradizionalista (Preziosi, Evola). Al di là delle contrapposizioni politico-ideologiche, la rivista si configura in realtà come una macchina sincretica in cui argomentazioni biologizzanti e culturalizzanti, dosate e gerarchizzate di volta in volta in modo diverso, convergono in un progetto di trasformazione palingenetica della società, della cultura e dell’arte italiane. Lungi dall’essere il frutto di un’improvvisazione estemporanea dettata dalle esigenze dell’alleanza con la Germania nazista, «La Difesa della razza» appare in quest’ottica come il prodotto di una logica tutta interna al fascismo. L’ultimo atto della rivoluzione antropologica perseguita dal regime, il culmine estremo dei dibattiti sull’«italianità» della cultura e dell’arte che avevano attraversato il fascismo.