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L’impero che non voleva morire
Unendo gli esiti piú recenti della ricerca storica ai dati economici e climatici, questo libro ricostruisce in modo magistrale un'epoca di tumultuose trasformazioni.
Il libro
Se nel VI secolo l’Impero romano d’Oriente era il piú vasto stato nell’Eurasia, appena un secolo dopo esso si era ridotto drasticamente. Circondato da nemici, devastato da conflitti e malattie, sembrava destinato al collasso, ma non fu cosí, e questo saggio ci spiega tutti i motivi per cui ciò non avvenne. Nel 700 d.C. l’Impero aveva perso tre quarti del suo territorio a vantaggio del Califfato islamico. Ma l’accidentata geografia dei territori rimanenti in Anatolia e nell’Egeo fu strategicamente vantaggiosa, poiché impedí ai nemici di occupare permanentemente le città, rendendoli vulnerabili ai contrattacchi romani. Piú l’Impero si riduceva, piú si calamitava intorno a Costantinopoli, la cui capacità di resistere ai diversi assedi si rivelò decisiva. Anche i cambiamenti climatici ebbero un ruolo, poiché imposero di diversificare la produzione agricola, aiutando cosí l’economia imperiale. La crisi costrinse la corte ad avvicinarsi alle classi dirigenti delle province e alla Chiesa. Nonostante le perdite territoriali, l’Impero non patí gravi crisi politiche. Ciò che restava divenne il cuore di uno stato romano cristiano medievale, la cui potente teologia politica predisse che l’imperatore avrebbe infine prevalso contro i nemici, sancendo il dominio mondiale del cristianesimo ortodosso.