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Archeologia classica
Tra suggestioni forti e incisive, ricordi personali, esperienza diretta e costanti riferimenti culturali al retroterra filosofico e letterario, l'autore dipinge un insolito affresco dell'archeologia del mondo antico, che mira a destabilizzare tradizioni di studio congelate e istituzioni accademiche e amministrative vetuste e deteriorate.
Il libro
«Tornare al passato significa provare nostalgia per epoche trascorse, avere acquistato una sensibilità al tempo che trascorre, quindi alla storia come mutamento, e aver sviluppato una sensibilità capace di distinguere gli originali dalle copie. Questo implica un’intensificazione del pensiero razionale, che distingue sempre piú esattamente momenti, luoghi, costumi e forme, impedendo di imprigionarli o confonderli in una tradizione unica, congelata».
Per Andrea Carandini è necessario che l’archeologo (ed è soprattutto ciò che devono fare i giovani archeologi senza preconcetti) si depuri d’ogni residuo classicistico e sappia ricostruire il passato a partire da un presente in evoluzione perenne. I metodi d’indagine e le realtà trascorse non sono da considerarsi concetti e dati stabili, ma problemi le cui soluzioni si perfezionano nel tempo, restando pur sempre provvisorie. Tra suggestioni forti e incisive, ricordi personali, esperienza diretta e costanti riferimenti culturali al retroterra filosofico e letterario, l’autore dipinge un insolito affresco dell’archeologia del mondo antico, che mira a destabilizzare tradizioni di studio congelate e istituzioni accademiche e amministrative vetuste e deteriorate. «Essere giusti» verso il passato è possibile oggi soprattutto se si è mentalmente oltre l’antichità: «Tanto meglio capiremo gli antichi quanto meno scarteremo la loro realtà per preferirle l'”ideale classico”, quanto piú riusciremo a creare nuove possibilità di vita dalle quali osservarli in modo piú penetrante, nella stranezza piú che nella familiarità dei loro costumi».
«Avrei potuto scegliere un titolo piú chiaro, anche se meno affascinante, come Archeologia dell’età classica, ma non ho resistito alla tentazione di provocare una nobile tradizione di studio, che a me pare per taluni aspetti barbogia, per proclamare che, se ancora in gran parte del Novecento l’archeologia ha coinciso con la storia dell’arte, dal Novecento avanzato e ancor piú con gli inizi del 2000 ha finito per acquisire una configurazione propria, perché si è rivolta all’intero mondo delle cose, comprese quelle ritenute povere o prive di valore estetico. Il programma di questa disciplina e il problema di salvare materialmente e dall’oblio le cose di cui si occupa sono gli argomenti di queste pagine. È mia intenzione creare un’eresia – il tono è ironico – non appartata e subalterna, ma riprendere e portare a termine una riforma della ricerca nel cuore degli studi classici, avendo come riferimento principale Roma. Un’eresia cattolica… Archeologia classica quindi certamente, ma con il sorriso sulle labbra, trattandosi di qualcosa a un tempo di tradizionale e di nuovo, in armonia con lo spirito del nuovo secolo».