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Uomini tedeschi
«QUANDO LA GERMANIA PARLAVA SENZA
DOVER FALSARE LA PROPRIA VOCE»
Lichtenberg, Hölderlin, i fratelli Grimm, Goethe,
Kant, Liebig (sì, quello dei dadi per il brodo),
Brentano, Büchner e un'altra dozzina.
Sono il manipolo di intellettuali tedeschi fra Sette
e Ottocento scelto da Benjamin per rappresentare,
con un'antologia delle loro conversazioni epistolari,
il quadro etico, intellettuale e più generalmente
antropologico dell'«essere tedeschi». O meglio,
di quello che era stato «essere tedeschi».
Benjamin pubblicò la prima serie di lettere nel 1931
sulla «Frankfurter Zeitung» quando il nazismo era
alle porte. La raccolta in volume uscì nel 1936,
quando Benjamin era già esule e doveva pubblicare
sotto pseudonimo: il senso di contrapposizione
di un'altra civiltà tedesca, sobria, appassionata,
responsabile rispetto alla retorica e alla violenza
del Reich non poteva essere più esplicita.
Un collage politico e sentimentale in cui c'è tutto
Benjamin.
Il libro
La centralità di Goethe per tutto il progetto è innegabile: della sua morte si parla nella lettera introduttiva; in un’altra, Zelter si rivolge direttamente all’amico; c’è Goethe al centro delle considerazioni di Bertram ed è infine lui personalmente a scrivere al figlio di Thomas Seebeck, il collega scienziato che è morto. Quest’ultima lettera è corredata, oltre che dell’introduzione, anche di un apposito commento. (…) L’inizio della fine della Weimarer Kunstperiode, segnata dalla morte di Goethe, coincise cronologicamente con la nascita del movimento democratico, quando l’umanesimo tedesco lasciò la sfera privata evocata da Benjamin e si trasformò in fatto politico. Nella premessa, tuttavia, Benjamin tracciava l’arco sino al 1931, quando i sintomi della drammatica disgregazione della Repubblica di Weimar erano ormai sotto gli occhi di tutti, stabilendo quindi un nesso fra la situazione politica della prima metà del XIX secolo e quella contemporanea: nello stesso giorno in cui venne pubblicata l’ultima lettera, i giornali riportavano la notizia delle dimissioni del Cancelliere Heinrich Brüning.
dalla prefazione di Enrico Ganni