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La pianura in fiamme
«A volte ti viene da pensare, su questa strada senza
limiti, che non ci sarà niente dopo; che non si potrà
trovare niente laggiú, in fondo a questa piana rigata da
crepe e torrenti in secca. E invece sí, c'è qualcosa. C'è
un paese. Si sente che latrano i cani e si sente nell'aria
l'odore del fumo, e si assapora quest'odore di gente come
fosse una speranza».
Juan Rulfo, La pianura in fiamme
Il libro
I racconti della Pianura in fiamme sono capolavori del verismo o sono racconti di fantasmi? Quando i lettori e i critici hanno cominciato a capire che la risposta è «entrambe le cose», Rulfo è diventato uno dei grandi scrittori del Novecento, nonché archetipo del cosiddetto «realismo magico» ispano-americano. Le sue sembrano storie semplici, lineari, crudeli, ma c’è qualcosa che non torna, che appartiene più alla logica del sogno che non a quella della realtà. È nell’assottigliarsi della linea di demarcazione fra queste «due verità» che la scrittura di Rulfo si fa insinuante, coinvolgente, scioccante.
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«Certo, l’altopiano, le zone desertiche, i piccoli paesi sperduti o addirittura abbandonati. (…) Tuttavia non sono questi gli elementi che caratterizzano essenzialmente i racconti, bensì la meteorologia. Il sole intollerabile, la pioggia, il vento. In racconti come È che siamo tanto poveri (pioggia) oppure Luvina (vento), ma anche in tutti gli altri, la meteorologia vince ogni cosa. Non c’è altro elemento del paesaggio che sappia resisterle, non c’è opera dell’uomo che le si possa opporre. Pioggia e vento, gli elementi più effimeri e impalpabili del paesaggio, diventano incarnazioni di un destino comune anch’esso evocato con la minuscola, concretamente, tutto su questa terra. La meteorologia è il vero paesaggio dei racconti. E anche qui, Rulfo, fingendo un gesto massimo di realismo, porta i suoi racconti a liberarsi di storia e cronologia per creare un paesaggio universale della condizione umana».
(dalla prefazione di Ernesto Franco)
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«Nel 1961 lessi per la prima volta Pedro Páramo e La pianura in fiamme di Rulfo. Per tutto quell’anno non riuscii a leggere nessun altro autore, perché tutti mi sembravano minori».
Gabriel García Márquez