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Lo spleen di Parigi
Il libro
“Chi di noi, nei giorni della sua ambizione, non ha sognato il miracolo di una prosa poetica, musicale senza ritmo e senza rima, a un tempo morbida e urtata abbastanda da adattarsi ai moti lirici dell’animo, al vagare ondoso della fantasia, ai soprassalti della coscienza?” Così scrive Baudelaire nella dedica iniziale ad Arsene Houssay per presentare questo libro, scritto negli ultimi anii della sua vita. E “il miracolo” di questi cinquanta poemetti è diventato l’archetipo di quasi tutta la poesia in prosa successiva: una forma di ritmo e pensiero messa a punto da Baudelaire di pari passo con una poetica e una sensibilità letteraria che hanno niìutrito tutto il Novecento. Ma le grottesche situazini scaturite dalla vita cittadina, le pagine di rievocazione melenconica, le invettive moralistiche delle prose baudleriane rappresentano anche, in parallelo ai “Fiori del male”, la nascita dell’uomo contemporaneo, delle sue ambivalenze affettive, del suo male oscuro. Questo libro è tuttora un atto di nascita in cui continuiamo a riconoscerci.Gianni D’Elia, che già si è misurato con Baudelire traducendo alcune poesie nel suo “Taccuino francese”, riproduce le pagine dell “Spleen” con un senso di fratellanza verso il peota anti borghese per eccellenza, il poeta attirato dalle creature perdenti, il poeta dell’ipocondria e dell’umor nero. E sa come valorizzare i grumi di sulfureo quotidiano disseminati nella lingua di Baudelaire, trovando le soluzioni nello stesso tempo più fedeli e più espressive.