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La tabacchiera di don Lisander
«Era stata donna Teresa Stampa, dirigista come sempre, a volere
che si effigiasse quella tabacchiera. Al pittore non restò che assecondarla.
E l'assecondò pure il marito che, per quanto riluttante
ai ritratti, acconsentí a posare nello studio di Hayez: facendosi ritrarre
(...) con in mano la familiare tabacchiera accarezzata piú che stretta. Donna Teresa, dopo
che il venerato consorte aveva portato a termine la risciacquatura
in Arno dei Promessi sposi, lavorava già per i posteri e pensava al
museo degli oggetti domestici da conservare a futura memoria. Per
questo aveva imposto l'umile accessorio. Voleva che "si facesse nota
di una di quelle familiari abitudini, che poi appunto in grazia
della loro familiarità sfuggono, o sono dimenticate dalla Storia",
scriveva daccordo con lei il figlio Stefano».
Salvatore Silvano Nigro, La tabacchiera di don Lisander
Il libro
La tabacchiera è, per Manzoni, la «scatola» della memoria letteraria attiva nella scrittura dei Promessi Sposi. È un richiamo, anche: rivolto ai lettori disposti a brividare di agnizioni nel labirinto dialogico del romanzo, tra estri sterniani e umori barocchi. Tutto comincia con un curato che inciampa nel malincontro. Seguono le corserelle, i saltelloni, le giravolte, i trotti, i passi brevi e circospetti, lunghi o infuriati, di quanti nell’infelicità della storia viaggiano: tragicamente e comicamente; misurandosi con le «piante insanguinate» di eroi e idoli, che hanno profanato le orme di sangue della Passione di Cristo. Falsari della Grazia e falsari di Dio, tormentati e tormentanti, perpetuano l’idolatria babelica della costruzione di una «torre» che trafora il cielo per darsi un «nome»: in un «eccesso di esistenza», che comporta la dispersione di un popolo e la confusione delle lingue; e le irresponsabilità di una letteratura, che ha smarrito il compito e il dovere della denuncia dell’«errore» e dell’«orrore».