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L’eroe che pensa
Il libro
“L’eroe che pensa” (l’intellettuale) contrapposto all’eroe che agisce (il politico) è uno dei miti più influenti e discussi della cultura moderna. Ha origini remote, fa le sue apparizioni nella grande letteratura teatrale e romanzesca, ma entra anche, in abiti più contingenti, nelle vicende politiche contemporanee. Nel Novecento si è incarnato in diverse figure, a volte affini e a volte antagoniste: il critico della cultura, l’intellettuale militante, lo scrittore impegnato, il filosofo rivoluzionario, il poeta misantropo. Di fronte all’invadenza della politica e alla forza di attrazione e di suggestione di una società sempre più organizzata e “totale”, l’intellettuale tende a perdere il senso della propria identità e della tradizione a cui appartiene. O ritrova se stesso nell’esercizio del dubbio, diviso com’è fra il dovere-desiderio di impegnarsi, di influire, di “rendersi utile” e la certezza o il sospetto che la verità è socialmente inutile, la critica è per lo più impotente e il pensiero non serve: non può, non deve semplicemente servire all’azione, e anzi la ostacola. Il libro di Berardinelli indaga e mette in scena una serie di “casi”, di situazioni problematiche, di dilemmi, di paradossi ora tragici ora ironici in cui si è dibattuto lo scrittore e l’intellettuale, ogni volta che intelligenza e potere entrano in contrasto, rivelando la loro reciproca, radicale estraneità.