Giulio Einaudi editore

Giuristi romani

Giuristi romani
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Testo latino a fronte

Con le sue regole e procedure, il diritto romano rappresenta uno dei grandi lasciti del mondo antico. Questa antologia offre per la prima volta a un pubblico ampio esempi importanti della scrittura e dell'eredità intellettuale dei giuristi antichi. Un patrimonio letterario e scientifico fondativo della nostra civiltà, sinora sepolto sotto l'involucro deformante della codificazione giustinianea, che finalmente oggi cominciamo a scoprire in una diversa prospettiva, di storia della cultura e delle idee e non soltanto di sistemi normativi. Il volume raccoglie scritti significativi, per stile e pensiero, di dieci giuristi attivi tra il I secolo a.C. e il III secolo d.C., reinseriti nei loro originari contesti e sobriamente commentati, per permettere al lettore di seguire da vicino la genesi e lo sviluppo di un sapere senza il quale non saremmo quello che siamo; una straordinaria sequenza di pareri e di interpretazioni che hanno dato vita al primo diritto interamente formale nella storia umana, alla base del laboratorio politico e giuridico della modernità.

2024
eBook
pp. XXIV - 552
€ 15,99
ISBN 9788858446591
A cura di

Il libro

Nonostante la centralità del loro ruolo, i giuristi romani, i fondatori della ragione giuridica dell’Occidente – i veri protagonisti di un’esperienza intellettuale senza eguali, svoltasi per secoli nel quadro di un impero mondiale, alla cui tenuta hanno dato un contributo decisivo – sono completamente spariti allo sguardo dei moderni. Anzi, non sono mai davvero esistiti per la nostra cultura: il loro profilo ideale, la collocazione politica, il modo di pensare il diritto, i rapporti di potere costruiti intorno a ciascuno di essi, i tratti salienti delle loro biografie: ogni cosa inghiottita dal buio. Perduti persino quasi i loro nomi. Tutti sappiamo di Silla, di Cicerone, di Seneca, per non dire di Virgilio o di Orazio; e perfino di Spartaco o di Catilina. E però chi – anche tra le persone colte – sa dire di Antistio Labeone, di Salvio Giuliano, di Giuvenzio Celso o di Giulio Paolo? Pur se dobbiamo a loro, e a poche altre decine di figure simili, il fatto che oggi, in quasi tutto il pianeta, da Parigi a Los Angeles, da Helsinki a Sydney, e ormai anche a Shanghai, si pensa alla forma del diritto – alle sue regole, alle sue procedure, per quanto mutevoli e discutibili possano essere nei diversi Paesi – come a una trama invisibile ma tenacissima che avvolge e determina molta parte delle nostre esistenze.
dall’introduzione di Aldo Schiavone

«Si proponeva quest’ipotesi: alcuni dei giudici, nominati per la stessa questione, dopo aver udita la causa erano stati esentati dal loro incarico e altri avevano preso il loro posto. Si domandava se il mutamento dei singoli giudici mantenesse identica la questione o rendesse il giudizio diverso. Risposi che non solo se l’uno o l’altro dei giudici, ma anche se tutti i giudici fossero mutati non di meno la questione e il collegio giudicante sarebbero rimasti tali quali sarebbero stati prima. E non accade solo in questo caso, ma anche in molti altri che, mutate le parti, si continui a considerare la cosa come la medesima. Infatti si ha sempre la medesima legione, anche se di essa molti siano morti e altri siano subentrati al loro posto; cosí il popolo del nostro tempo è considerato lo stesso di quel che era cento anni fa, per quanto nessuno di allora sia oggi in vita; e cosí una nave, che è stata spesso riparata, al punto che non c’è in essa nessuna tavola che non sia nuova, non di meno continua ad apparire sempre la stessa nave. Che se poi qualcuno pensasse che, mutando le parti, le cose diventassero diverse, dovrebbe discendere da questo ragionamento che anche noi non saremmo piú gli stessi che eravamo un anno prima, perché, come dicono i filosofi, noi siamo costituiti di particelle piccolissime, e queste, giorno dopo giorno, abbandonano il nostro corpo, mentre altre prendono dall’esterno il loro posto. Ragion per cui si deve riconoscere che, fin quando rimane identica la forma di una cosa, anche la cosa stessa continua a essere la medesima».

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