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Prigioni della mente
Il libro
La ragazza americana con l’iracheno al guinzaglio. Un’immagine simbolo degli orrori della guerra. Due esseri umani travolti dalla violenza della storia e consegnati alla memoria collettiva. Una nel ruolo biasimevole di aguzzino. L’altro in quello compassionevole di vittima. Entrambi messaggeri di emozioni e cognizioni che vorremmo poter respingere lontano, confinandole in un altrove spazio-temporale.
Partendo da questa vicenda emblematica, il libro di Adriano Zamperini, con lo sguardo dello psicologo sociale, conduce il lettore là dove piú stringenti sorgono gli interrogativi. Dentro tre prigioni. Guantanamo, lembo di terra cubana. Stanford, seminterrato del dipartimento di psicologia. Londra, studi della Bbc. La prima, tragicamente reale. La seconda, una simulazione sperimentale degenerata in dramma. La terza, un’architettura carceraria stile Grande Fratello. Luoghi diversi eppure accomunati dalla medesima condizione: il loro essere siti dell’oppressione e della resistenza. Che cosa accade a persone comuni quando agiscono in situazioni estreme? Qual è il comportamento esibito da chi veste i panni di guardia e da chi assume il ruolo di prigioniero?
L’analisi delle relazioni che si instaurano tra le parti segregate in questi luoghi diventa materia indispensabile per comprendere la condotta umana. E per una presa di coscienza dei nuovi volti assunti dal male, anche e soprattutto all’interno delle società democratiche. Fornendo al contempo le coordinate per smascherare quei discorsi e quelle pratiche che pretendono di imprigionare le nostre menti dentro una realtà onnivora e univoca.