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Mein Kampf
«È una storia banale, nel senso hollywoodiano del termine. Una Grande Storia d'Amore. Hitler e il suo Ebreo. Un caso orribile».
Il libro
Con queste parole, stampate sul programma di sala del Burgtheater, dove il 6 maggio 1987 debuttò Mein Kampf, George Tabori lanciava una nuova provocazione al pubblico viennese. E anche questa volta fu un successo. L’opera sarebbe diventata il suo testo più noto e rappresentato in tutto il mondo, dalla Germania alla Gran Bretagna, dalla Francia agli Stati Uniti.
Nell’arco di questa «Grande Storia d’Amore», che si svolge a Vienna all’inizio del secolo scorso, assistiamo all’incontro tra Schlomo Herzl, uno squattrinato libraio ebreo che sogna di scrivere un romanzo sul senso dell’esistenza e il giovane Hitler, giunto nella capitale dalla provincia per sostenere l’esame di ammissione all’Accademia di Belle Arti. Come scrive Moni Ovadia, nella sua presentazione: «Il futuro Führer ci viene presentato come un ex bambino infelice, nato probabilmente in una famiglia spietata, con una parziale origine ebraica vergognosa […] Chi dovrebbe essere stato Adolf Hitler se non un uomo? Sí! Il mostro nazista fu solo un uomo, le sue patologie furono tipicamente umane, l’abbrutimento di un’intera nazione fu umano, il comportamento di schiere di piccoli borghesi in delirio fu umanissimo, umano fu il comportamento sadico di aguzzini che, smessa la divisa, tornarono alle loro piccole vite e celarono le aberrazioni dietro alle ordinate tendine di linde abitazioni¿»