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Il ventaglio
Il libro
“Che questa sia una grande commedia d’amore, una commedia d’amore corale, è ovvio: ma non è bastante a comprenderla per intero. Anche le “Baruffe” sono la commedia della coralità d’amore: ma sappiamo che là l’amore rinvia ad altro, è il vettore-simbolo di un sano vitalismo, di un attivismo gioioso, la produttività sensuale e feconda di una classe, il popolo, che un borghese, illuminato e riformista, scopre un poco più tardi del necessario. Qui l’amore a cosa rinvia? Cosa c’è, dietro di lui, quando il suo cerchio si chiude, le coppie si ricompongono, gli attori escono dal ruolo per ossequiare, a distanza, l’artigiano di quel ventaglio, lo stesso borghse (un po’ meno illuminato, forse) che ora abita a Parigi? ‘Nulla’, occorre dirlo con franchezza che Goldoni, da quell’astuto stratega teatrale che era, non avrebbe mai voluto usare, certo com’era che bastasse alludere, invece che dire. ‘Nulla’: siamo passati dalla Chioggia monoclassista di pescatori rissosi ed esuberanti ad un pluriclassista paese di campagna del contado lombardo. Ci sono nobili, affamati e no, ci sono borghesi, artigiani, (speziali, merciai, calzolai, osti), contadini, servi. Fanno ognuno, zelante il loro mestiere, impugnano, oguno il loro bravo “oggetto specifico” ma per non far null’altro che non sia, appunto, ‘fingere’, al primo grado, ‘di fare’. Un mostruoso attivismo che cela una sostanziale inerzia: questo il clima vero, sotteso all’atmosfera esteriore, della commedia, che par tutta pervasa da una febbre del vivere per agire.” (Dall’Introduzione di Guido Davico Bonino)