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Pozzanghere
Siamo atomi migranti,
siamo istanti, frantumati
nelle bocche dei giganti.
Siamo polvere di tempo,
lieve architettura,
nenie brevi e cantilene.
Unghie rudimentali,
vene d'ancestrali corpi,
sconosciuti e ricomposti.
Comprende un solo dito
moltitudini di popoli,
dèi meravigliosi
e provvisori niente.
Il libro
Le pozzanghere riflettono le luci dell’universo: «quello che capita | a volte un po’ di luna | e le ombre dei randagi casuali». Sono un simbolo forte del panteismo eccentrico di Strumia, dove i meccanismi cosmici si manifestano, con un po’ di mistero e molto understatement, nelle forme di esistenza minime e meno appariscenti. Per questo l’uomo trova uno specchio straniante ma anche profondamente veritiero negli insetti o addirittura nei batteri, in un fossile o in un grumo di resina.
«Siamo atomi migranti»: sembra la sintesi poetica del famoso racconto di Primo Levi sul carbonio. Quella di Strumia è una visione scientifico-materialista del mondo, ma non per questo meno segreta, piena di simboli indecifrabili. La sua poesia è lontana dalla tradizione lirica: l’io che viene rappresentato è frantumato e attraversato da forze conosciute e sconosciute, e viene sempre descritto da punti di vista dislocati apparentemente altrove, anche se proprio questi altrove sono l’unica possibile forma di identità.
In questa direzione vanno la continua invenzione linguistica, la sfrenata fantasia delle immagini e delle associazioni, i cambi di ritmo, le sonorità incalzanti. Una brillantezza mai gratuita, che è tutt’uno con il lavorio del pensiero e le sue brucianti accensioni in presa diretta.