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Poesie. II: 1908-1926
Gli amanti potrebbero, se l'intendessero, nell'aria notturna / dire cose mirabili. Perché su di noi tutto sembra / serbare il segreto. Vedi, gli alberi sono: le case / che noi abitiamo sussistono ancora. Noi soli / come aria che si rinnova trascorriamo su tutte le cose. / E tutto in accordo ci tace, metà per / vergogna forse e metà per speranza indicibile.
da La seconda elegia
Il libro
Nella poesia della sua tarda maturità musica e sensualità si sono davvero transustanziate in esattezza matematica e Rilke può a ragionr dire con il suo Malte: “Era un poeta e odiava il pressappoco” (VI, 863). In effetti le poesie dei suoi ultimi anni vanno incontro a un processo di astrazione sempre piú rigoroso, ma anche sempre piú disperato. Rilke realizza ora quel proposito di cui scrive nel 1920, quando concepisce “un linguaggio senza desinenze, un linguaggio fatto possibilmente di noccioli di parole, un linguaggio che non si raccoglie sopra, sul fusto della pianta, ma si afferra nel seme”. Questo linguaggio della rarefazione e della condensazione […] domina tutta la sua produzione che segue i Sonetti e le Elegie con molte cose che, forse, sono piú autentiche di queste due celebratissime raccolte.
Giuliano Baioni