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Ablativo
«la litania dei casi recitati al ginnasio
s'è fatta prognosi postuma dei giorni:
se tutto sommato poco frequentati
- anche colpevolmente, lo ammetto -
i primi due,
tra dativo e accusativo invece
s'è consumato il maggior tempo.
Seguiti dal vocativo
per veglie albe notti,
preghiere a volti muti, ascolti
sempre in duplice tensione:
rivolto altrove e ad altri
o nell'attesa di una chiamata.
Ora vivo all'ablativo»
Enrico Testa, Ablativo
Il libro
L’ablativo è un caso latino che non indica l’«io» né il possesso, non marca le attese né le esclamazioni, ma sintetizza un allontanamento o un distacco, un’uscita da un luogo o da uno stato: un passaggio in cui il soggetto, non piú fine a se stesso e come portato via, improvvisamente scopre per sé un altro destino. Un titolo che bene risponde al nuovo libro di Enrico Testa, la cui poesia è fortemente «ablativa», da sempre radicata nei nodi dell’assenza o della perdita. Qui questi temi si concretizzano in vari toni e cadenze: il sentimento della fine, il succedersi delle generazioni, la piccola scena della famiglia, ma anche inaspettate pause di quiete, intermezzi di natura e, talvolta, annunci di un sospetto di gioia. Una poesia piú corporea rispetto alle precedenti raccolte: sempre fantasmatiche le presenze, però nette e concrete nel loro anchilosato affannarsi ai margini della scrittura. E con una vena essenziale e ironicamente brillante, che forse non aveva mai raggiunto, nelle poesie di Testa, questi livelli di efficacia, di risonanza, di memorabilità.