Giulio Einaudi editore

Considerazioni del signor Zeta

ovvero Briciole da lui lasciate cadere, e raccolte da chi lo stava ad ascoltare
Considerazioni del signor Zeta
ovvero Briciole da lui lasciate cadere, e raccolte da chi lo stava ad ascoltare
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Il libro

«Anche solo per motivi igienici lui, Z., cambiava le opinioni piú spesso della camicia. Non appena mostravano i primi bordi neri, le metteva nel bucato».

«Tutte le cose intelligenti sono già state pensate, bisogna solo ripensarle», ha scritto Goethe. In questo senso il libretto di Enzensberger si inserisce in una tradizione che da Epicuro conduce a Montaigne, Lichtenberg, Nietzsche, e infine a Brecht e Adorno. Le Considerazioni del signor Zeta non sono quindi una costruzione hegelianamente strutturata, ma pensieri «in libertà» che non intendono necessariamente presentarsi come originali e rivoluzionari, e nemmeno mascherare eventuali contraddizioni (coercizioni queste, dalle quali l’autore ha preso allegramente le distanze ormai da molti anni). Zeta è un signore grassottello, vestito in modo antiquato (porta una bombetta marrone!), abituato a una vita di agi (di nuovo Epicuro?), che ogni pomeriggio prende posto sulla panchina di un parco e coinvolge i passanti in allegre discussioni. Sul suo conto il pubblico, e con esso anche i curatori che si sono presi la briga di annotare quanto andava dicendo, ha opinioni discordanti: alcuni lo considerano un saggio, altri uno sputasentenze, una «persona poco seria», un clown, un polemico filosofo. Molti scuotono la testa e tirano via, alcuni si fermano. Per quanto differenziati siano i giudizi, è comunque indubbio che si tratta di un oratore fuori dagli schemi, che può dire cose che altri preferiscono tenere per sé, mettere in discussione pregiudizi e verità acquisite. Una sola volta lo abbandona la sua tranquillità, la sua pacatezza: quando uno studente di filosofia lo accusa di essere un aforista. Perché l’aforisma ha in sé un che di definito, di apodittico, qualità dalle quali il signor Zeta rifugge: le contraddizioni non lo turbano piú di tanto, l’esistenza umana ne è piena, e lui preferisce relativizzare e appunto contraddire (anche se stesso). E cosí, pomeriggio dopo pomeriggio, questo insolito pensatore riflette sulla storia, sull’intelligenza umana (considera sopravvalutata quella dei contemporanei), sulla scienza (l’inutilità delle missioni nello spazio con uomini a bordo), la tecnica, la collettività, i designer (il cui obiettivo primario sembra quello di rendere «inutilizzabili tutti gli oggetti di uso comune»), ma anche sulla politica e gli uomini politici (Che Guevara in primis). Non mancano, nel repertorio del signor Zeta – che dice di essere un dilettante privo di ambizioni: «ho le mie idee e sono contento quando qualcuno mi fa ricredere su qualcosa» -, i consigli su come migliorare la vita: ad esempio visitare un orto botanico – un’operazione sana per il corpo e per la mente – dove ci accoglie una grande varietà di nomi scientifici che sono infinitamente superiori alla transitorietà del linguaggio cui siamo costretti a confrontarci ogni giorno nei media. Il tempo passa, inizia a fare freddo, arriva l’inverno e il signor Zeta si ritira, scompare dal microcosmo del parco. Di lui restano le briciole che ha lasciato cadere e che qualcuno ha raccolto.

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