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Quasi un’infanzia
Un'infanzia terribile raccontata con il sorriso sulle labbra.
Il libro
Il protagonista di questo romanzo autobiografico (o di autobiografia romanzata) è ancora molto piccolo quando si accorge che nella sua esistenza è cambiato qualcosa. La Germania (dove vivono i genitori) e l’Austria (patria dei nonni materni) sono infatti in guerra e l’ordine quotidiano nel quale è sin lì cresciuto risulta turbato. Più per gli adulti tuttavia, perché lui continua a vedere il mondo dal suo punto di vista e a considerare più emozionante andare allo zoo a trovare Roma, la vecchia elefantessa, che non essere presentati al Führer o agli altri capoccia del nazionalsocialismo. Solo dopo il 1945 la sua esistenza torna a una quasi normalità. Il «bambino» diventa un «ragazzo» che studia in collegio e trascorre le vacanze nell’antica, fastosa residenza dei nonni, parzialmente trasformata in acquartieramento dell’Armata rossa: e in questo microcosmo assiste al definitivo tramonto di quel tanto che ancora restava della vecchia Austria imperiale.
Quasi un’infanzia è la storia di un bambino. Di un bambino nato qualche anno prima dell’inizio della seconda guerra in una famiglia molto privilegiata: il padre è un industriale tedesco (ma anche un alto esponente del regime nazionalsocialista), la madre proviene da una famiglia di proprietari terrieri austriaci. Non si tratta però di un libro di ricordi in senso tradizionale, perché il punto di vista scelto dall’autore è rigorosamente quello del protagonista, a cinque, sei, sette, quattordici anni. Il lettore vede tutto con gli occhi prima del «bambino», poi del «ragazzo», ne intuisce il faticoso adeguarsi al rigore degli adulti, è partecipe dei suoi momenti di stupore e di profonda felicità, inciampa con lui negli spesso esilaranti trabocchetti della lingua dei grandi. E poi c’è la guerra, che se non comporta particolari disagi materiali, implica tuttavia periodi sempre più lunghi di lontananza dal padre, tutt’altro che compensati dalla frequentazione dei vari zii Hermann, Albert, Josef, gli alti papaveri del nazismo, e persino del papavero sommo, il Führer. La fine del conflitto segna l’inizio di un duplice processo di trasformazione: per il protagonista che in collegio matura il distacco dall’infanzia; e più in generale per la famiglia: il padre viene condannato a morte a Norimberga, la madre cerca con scarso successo di rientrare nell’ambiente dell’opera lirica, i nonni non possono ormai più impedire il definitivo dissolvimento del loro mondo. Ed è come se la vecchia Austria, l’Austria nostalgicamente rievocata da Josef Roth, morisse una seconda e ultima volta.