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I fiumi profondi
Un bambino figlio di bianchi e allevato dagli indios. Attraverso la sua doppia identità attraversiamo due mondi che si ignorano o addirittura si respingono a vicenda. Un libro incandescente in cui convivono l'autobiografia di Arguedas, il fascino del Perù e delle sue contraddizioni, un rapporto quasi mistico con il paesaggio andino.
Scritto nel 1958, I fiumi profondi è diventato subito uno dei romanzi più famosi della letteratura ispano-americana e rimane tuttora il più preciso e appassionato sguardo sul mondo degli indios, sui loro miti, la loro magia e la loro capacità di vivere in armonia con la natura.
Il libro
«I fiumi profondi trasmettono qualcosa di un altro emisfero psichico ed espressivo» Mario Luzi
Figlio di un avvocato di provincia finito in carcere, Ernesto, il bambino protagonista dei Fiumi profondi, è stato allevato dalle vecchie «mamme» di una comunità india. Il contatto con la natura immacolata e l’essere cresciuto in un mondo primitivo hanno marcato indelebilmente il suo carattere. Quando finisce in un collegio di Abancay, vive nel ricordo dei suoi amici indios e dei grandi e austeri paesaggi che era abituato a «respirare». Poi ad Abancay esplodono contemporaneamente il tumulto delle prostitute, la peste e la rivolta degli indios. Ernesto sembra ritrovare se stesso: sente in questi sconvolgimenti il segno di un destino superiore e vi partecipa come trascinato da forze magiche. La fuga dal collegio sarà per lui un ritorno alle sorgenti stesse della vita.