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I racconti di Kolyma
Per la prima volta in Occidente la traduzione integrale e definitiva sotto il profilo filologico dei sei cicli di racconti che costituiscono una delle piú tragiche e grandiose epopee della letteratura di questo secolo.
Il libro
Varlam Salamov, I racconti di Kolyma La Kolyma è una desolata regione di paludi e di ghiacci all’estremo limite nord-orientale della Siberia. L’ estate dura poco più di un mese; il resto è inverno, caligine grigia, gelo che può scendere anche a sessanta gradi sotto zero. Lì, dalla fine degli anni Venti, alcuni milioni di persone sono state deportate e sfruttate a fini produttivi e di colonizzazione della regione. Salamov arrivò alla Kolyma nel 1937, dopo essere già stato rinchiuso in un lager degli Urali fra il 1929 e il 1931 a causa della sua opposizione a Stalin. E alla Kolyma rimase fino al 1953.
«Il lager è una scuola negativa per chiunque, dal primo all’ultimo giorno […] L’uomo non deve vederlo. Ma se lo vede, deve dire la verità, per quanto terribile sia. Per parte mia, ho deciso che dedicherò tutto il resto della mia vita proprio a questa verità», così scriveva Salamov a Solzenicyn nel novembre del 1962. In questa discesa negli abissi della memoria i ricordi si snodano come una partitura musicale. L’avvio è graduale, i temi si delineano in parallelo per poi intrecciarsi e sovrapporsi: l’arrivo nei campi, la casistica dei vari tipi di carcerieri, i luoghi e le condizioni del lavoro forzato, la natura ostile e cosi carica di significati simbolici, i compagni di pena. Inizia da qui, da un incredulo stupore, lo studio scientifico di uno spietato fenomeno antropologico: «con quale facilità l’uomo può dimenticare di essere un uomo» e rinunciare alla sottile pellicola della civiltà, se posto in condizioni di vita estreme.
Magadan e i suoi dintorni, i fronti di scavo nelle miniere, le postazioni sperdute nella tajga, l’ospedale, la grande rotabile percorsa da migliaia di camion, tutto muta a poco a poco di segno: sempre meno sfondo reale, sempre più duttile materia per una ricognizione della recente storia russa e, in parte, europea.
Cronaca, o meglio vivo documento restituito attraverso i processi associativi della memoria; affresco della Russia tra Otto e Novecento; anatomopatologia della psiche umana; magmatica restituzione, fino al più ripugnante particolare fisico, della realtà organica. Ma Kolyma è anche altro. E un’epopea del Grande Nord, una storia di esplorazioni e sconosciute imprese; è la linfa vitale della natura investita della religiosità panica di un grande poeta. E il mondo austero e solenne degli orsi, delle anatre, delle donnole, degli scoiattoli…
Il crescendo musicale ci accompagna, in un recupero graduale e insistito di dettagli, dalla prima raccolta, I racconti di Kolyma, fino a Scene di vita criminale; si placa nel quasi adagio della Resurrezione del larice, dove per un istante si attenua la disperazione; precipita nel Guanto, un adagio che si volge in marcia funebre: tutto evapora, rimane solo ciò che non può essere cancellato, il male. Ma più forte ancora del male, al di sopra di tutto, sta il tempo. «L’unica cosa – scrive Salamov – che innalzi la statura delle persone».