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La donna che aspettava
Unione Sovietica, anni Settanta. Un giovane aspirante scrittore lascia Leningrado, stufo del circolo vizioso della letteratura dissidente: «Lamentarsi del regime, non scrivere, o scrivere solo per lamentarsene». Con il pretesto di fare delle ricerche sugli usi e costumi di una remota regione del Nord, il giovane parte per Mirnoe, un villaggio ai confini dell'Impero. In segreto progetta di insinuarsi nelle pieghe della vita di provincia e raccogliere materiale per la stesura di una satira anti-sovietica.
Il libro
Invece si trova a fare i conti con un passato che non passa: un passato di guerra, che ha prostrato i villaggi e consegnato una generazione di vecchie a morire in solitudine. E soprattutto incontra Vera, una maestra elementare che a quelle donne dedica la propria esistenza, strappandole alle loro case in rovina, seppellite sotto le nevi eterne della foresta. Questa donna silenziosa ed enigmatica, che ogni mattina si reca al solito incrocio di strade dove, fissata a un palo, l’aspetta una cassetta delle lettere immancabilmente vuota, è mossa da una ragione inscalfibile: la ragione dell’attesa. Sedotto da quest’attesa che non riesce a comprendere, il protagonista riuscirà a penetrare il segreto di Vera forse più di quanto avesse voluto, sostituendosi per un istante a colui che non tornerà.
«Quella sera di settembre ho chiuso il taccuino e guardato la manciata di mirtilli freddi e marezzati che Vera aveva versato sul tavolo in mia assenza. Nel riquadro della finestra, sopra le creste nere della foresta, il cielo tratteneva un pallore lattiginoso che lasciava intuire, a qualche ora di cammino, la pacata presenza del mar Bianco, già in attesa dell’inverno. La casa di Vera si trovava all’inizio di un sentiero che, attraverso forteti e colline, conduceva al lago. Ho pensato alla solitudine di quella donna, alla sua calma, al suo corpo (molto fisicamente, ho immaginato quel corpo femminile avvolto da una coltre di tepore, sotto la coperta, in una limpida notte di gelo) e a un tratto ho capito che nessuna dialettica dell’anima avrebbe saputo dire il segreto di quella vita. Una vita di gran lunga troppo limpida e dolorosamente semplice rispetto alle mie dotte analisi».