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L’arte della guerra zombi
Aleksandar Hemon ha scritto un divertentissimo
ottovolante di sesso e violenza, un'imprevedibile
commedia agrodolce... tragicamente meno assurda
di quel che appare.
«Un'opera potente e magistrale da uno dei nostri
scrittori piú significativi, insieme folle e meditativa,
esilarante e devastante».
«National Post»
Il libro
Aspirante sceneggiatore nato sotto il segno dell’inconcludenza, Joshua Levin finisce fra i due fuochi di un grosso reduce di guerra bosniaco e di un instabile veterano americano armato di katana. All’implosione della sua vita non sono estranee le morbide carni di Ana, la moglie del bosniaco, e la rabbia della sua fidanzata Kimiko. Nel frattempo Joshua riesce a scrivere il film che gli aprirà le porte del dorato mondo di Hollywood, Guerre zombi. Dentro ci ha messo un eroe: il maggiore Klopstock, una missione: salvare il mondo dall’invasione dei mangiacervelli, e un mucchio di morti e sangue e scene indimenticabili.
Joshua Levin ha un sogno nel cassetto: vedere una delle sue sceneggiature trasformata in film di successo da qualche influente produttore hollywoodiano. Dopotutto, il suo portatile trabocca di idee luminose, una delle quali potrebbe certo essere notata, prima o poi. La #196 magari – Una rock star completamente fatta sclera durante il concerto, si precipita giú dal palco e si smarrisce in una città di cui non ricorda il nome, ma le cui strade sono affollate dalle sue allucinazioni. Titolo: Cantando sotto acido -, o forse la #142 – Degli alieni travestiti da tassisti rapiscono la fidanzata del protagonista e lui deve trovare il modo di raggiungere un pianeta lontano per salvarla. Titolo: Love Trek. Oppure la piú recente, Guerre zombi, in cui si narrano le avventure del maggiore Klopstock e del suo tentativo di salvare il mondo dall’invasione dei famelici mangiacervelli. In attesa di sfondare, Joshua sbarca il lunario come insegnante di inglese per stranieri e divide il suo tempo fra l’impeccabile fidanzata Kimiko, una psicologa infantile senza debolezze né distrazioni (salvo forse quei giochini erotici nel cassetto), il workshop di scrittura dove giorno dopo giorno siede accanto ad altri sfigati inconcludenti per non imparare come si scrive un copione di successo, e la sua famiglia ebrea confortevolmente opprimente e mediamente infelice. Tutto sommato un’esistenza placida – «tua vita è coperta calda», gli dice un compagno di corso che la guerra l’ha fatta davvero – che tuttavia Joshua, fatalmente ossessionato dalle donne e da Baruch Spinoza, s’impegna alacremente ad attorcigliare. Gli basta tornare a casa una sera e trovare il suo padrone di casa, Stagger, un veterano della prima guerra del Golfo con evidenti turbe post-traumatiche e un’insana passione per i Guns N’ Roses e la katana giapponese, intento a frugare tra la sua biancheria sporca; gli basta inseguire le irresistibili fossette della sua studentessa bosniaca Ana, tralasciando l’effetto collaterale dell’omaccione tatuato che ha per marito, per ritrovarsi su un ottovolante di sesso e violenza, senza nemmeno poter contare sulla tenuta della sua vescica. Mentre nella sua vita tutto implode, fuori esplode quello speciale mix di imbecillità e violenza che ha caratterizzato l’invasione Usa dell’Iraq nel 2003, con le televisioni che vomitano senza sosta immagini dell’operazione Freedom e scampoli di retorica mistico-belligerante del presidente illetterato George W. Bush a sostegno della guerra. E allora, chi la padroneggia meglio quell’arte? I non morti della fantasia di Joshua che, capitolo dopo capitolo, danno corpo alla sceneggiatura, o quelli in carne e ossa che popolano un paese-zombi che si ciba dell’altro senza misura né visione?