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La zona d’interesse
«La zona d'interesse è un tour de force di puro virtuosismo
linguistico nonché un romanzo geniale e divinamente
urticante che trae ispirazione da una profonda curiosità
morale sul genere umano. Lascia senza fiato».
Richard Ford
Il libro
«C’era una volta un re, e questo re incaricò il suo mago prediletto di fabbricare uno specchio magico. Questo specchio non ti mostrava il tuo riflesso. Ti mostrava la tua anima – ti mostrava chi eri realmente». E il campo di concentramento è quello specchio. Nella zona d’interesse del campo, Golo Thomsen, nazista mediocre, riscopre un sentimento che pareva impossibile in quel luogo e in quel tempo. S’innamora di Hannah Doll, una donna sposata, che come lui sta scrutando lo specchio per capire chi è. Ma c’è un problema: Hannah è la moglie del Comandante: il cinico, spietato, grottesco Paul Doll.
Al Kat Zet, la zona d’interesse, la vita scorre placidamente: madri che passeggiano con le figliolette, ricchi pasti serviti alla mensa ufficiali, tediosa burocrazia negli uffici, caldi incontri nelle alcove. Tutto intorno un’altra vita – se questa è vita – freme e spira, a centinaia, a migliaia, giú per le fosse, su per i camini. Ma qui, lungo il viale alberato della zona d’interesse, comprendente terreni, officine e centro residenziale delle SS, due amici d’infanzia – Golo Thomsen, ufficiale di collegamento fra l’industria bellica e il Reich, nonché nipote del gerarca Martin Bormann, e Boris Eltz, capitano valoroso e senza scrupoli – possono fantasticare sulle morbide forme della procace Hannah Doll, moglie dello spietato Kommandant del campo, come in un qualunque caffè del centro. Qui si può ridere del tatuaggio sul braccio delle Haftlinge – «il tuo numero di telefono?» – e affogare il grattacapo di una partita di 150 unità femminili troppo deperibili in una dose extra di buon brandy. Il grottesco per parlare dell’orrore. Amis affida quella dimensione al piú allucinante e macchiettistico dei suoi molti antieroi, Paul Doll, che con i suoi tic, le sue ansie e le sue lascivie, con il suo straniante pastiche linguistico, incarna tutto l’assurdo del regime. «E io, in modo vago e confuso, mi chiedevo se la storia del Nazionalsocialismo si sarebbe mai potuta svolgere in una qualunque altra lingua…», osserva Golo. Della tragedia che da quel regime promana è invece interprete Szmul, capo dei Sonderkommando, «gli uomini piú tristi del Lager». Szmul il corvo del crematorio, Szmul che traffica in cadaveri, ma, nel momento estremo della scelta, sono i suoi occhi morti ad accendere della luce della coscienza la vita che gli sopravvivrà. E resta spazio, nel catalogo delle esperienze umane travolte dall’orrore, per l’investigazione dell’amore in tempo di strage, attraverso il racconto dei turbamenti passional-sentimentali dell’arianissimo Golo, terza voce narrante del romanzo. Ma può nascere qualcosa di buono sullo sfondo dei camini? Martin Amis torna a cimentarsi con la ferita mai rimarginata dell’Olocausto, e lo fa con la piú dirompente delle espressioni umane: una caustica risata.