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Il giardino luminoso del re angelo
Afghanistan, 1969. Peter Levi, gesuita e classicista, segue le tracce lasciate da Alessandro Magno nelle sue colonie d'Oriente. Bruce Chatwin, di vocazione nomade irrequieto, lo accompagna.
Il libro
Nel giugno 1969 Peter Levi, padre gesuita e professore di lettere classiche a Oxford, parte per l’Afghanistan con un compagno d’eccezione: Bruce Chatwin. Chatwin non ha ancora scritto nessuno dei libri che lo renderanno famoso, ma si è già conquistato i gradi di grande viaggiatore (quello con Levi è il suo terzo viaggio in Afghanistan). «In molti sensi, – dice Levi, – Bruce Chatwin rappresentava il compagno ideale: era una persona divertentissima e come bugiardo stracciava persino Ulisse, ma nel contempo era estremamente serio». Levi e Chatwin sembrano incarnare i due volti dell’irrequietezza nomade: lo studioso curioso ed erudito e il narratore appassionato ed estroverso, entrambi sulle tracce di un’idea, entrambi insofferenti della quotidianità occidentale. Ma Il giardino luminoso del re angelo non è solo la storia di un’amicizia, che peraltro va letta tra le righe, decifrando l’understatement di Levi. Come scrive Tiziano Terzani nella sua prefazione, questa è una vera «montagna d’oro» per chi voglia saperne di piú su quello che un tempo era l’Afghanistan. «Avevo trovato la guida ideale, il compagno perfetto, l’amico affine: Peter Levi, un gesuita con la passione dell’archeologia». Elegante, ricco e ironico, il libro assume oggi, di fronte alla distruzione dei monumenti e alla guerra che continua a sconvolgere il paese, un tragico e insostituibile valore di documento e testimonianza.
«Conservo un ricordo vivido di quel momento – il freddo, la strada vuota – forse perché non mi ero dato la pena di dormire. Bruce gracidava e scherzava. Avevamo appena finito di mettere in fila i bagagli per vedere se c’erano tutti quando apparve uno di quegli inconfondibili aggeggi che lavano le strade e innaffiò per bene noi e i bagagli, valigia per valigia».