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Facciamo che ero morta
«Come Denis Johnson, Jen Beagin è capace di trovare
umanità e meraviglia (e, sí, amore) in alcuni degli
angoli piú desolati del mondo».
Tom Perrotta
Il libro
«Facciamo che ero morta», diceva Mona al padre, prima di buttarsi in piscina fingendo di annegare perché lui la salvasse. Ora che è cresciuta, Mona ancora attende di essere salvata. Ironica se non scorbutica, conduce un’esistenza solitaria lavorando come donna delle pulizie sui generis, fino al catastrofico incontro con l’ambiguo Mister Laido. È a causa sua se da un giorno all’altro molla le sue case patinate a Lowell, Massachusetts per trasferirsi in una bislacca comunità di nullafacenti e new ager a Taos, nell’assolato New Mexico. Ma, come ogni professionista del pulito sa bene, spazzare la polvere sotto il tappeto non vuol dire liberarsene: prima o poi lo sporco torna a fare capolino.
Al mondo non c’è nessuno che, in fondo a un cassetto o sotto il materasso, non nasconda qualcosa di imbarazzante. Lo sa molto bene Mona, che di mestiere fa la donna delle pulizie e che, mentre lava, smacchia, scrosta, lucida e passa l’aspirapolvere, si distrae curiosando in giro e ricostruendo impietosamente la vita dei suoi clienti. Il martedí sera, non avendo di meglio da fare, presta servizio come volontaria distribuendo aghi puliti ai tossicodipendenti. È in questo ambiente che, in barba alla prudenza, adocchia un soggetto a suo parere interessante: certo, sembra un po’ sporchino, tanto che gli appioppa il soprannome di Mister Laido, però è alto e ha le spalle larghe, e poi ha sempre con sé un libro. E cosí, tra regali bizzarri ed escursioni domenicali sui tetti di fabbriche abbandonate, comincia una storia a dir poco strampalata. Seppure inevitabile e tutto sommato salvifico, l’epilogo supera, per le sue grottesche modalità, ogni piú nera previsione. Per riprendersi dalla batosta, Mona decide di cambiare aria e, dopo aver caricato lo stretto necessario sul furgone, si trasferisce a Taos, un rifugio di fricchettoni e nullafacenti perso nel deserto del New Mexico. C’è la coppia anglo-giapponese di Nigel e Shiori (Yoko e Yoko, li soprannomina Mona, non riuscendo a decidere quale dei due dovrebbe far la parte di Lennon) che se ne vanno in giro in pigiama dispensando immortali perle di saggezza new age. C’è la sensitiva Betty, che colleziona inquietanti bambole e fotografie rubate del suo ex marito. C’è un giovane gay, Gesú, che viene appioppato a Mona come finto fidanzato. Potrebbe bastare per tagliare i ponti con quel che è stato. E invece il passato la insegue e Mona, anche se controvoglia, dovrà fare i conti con la sua infanzia e, in particolare, con un padre ben al di sotto del livello di accettabilità. Perché ormai è cresciuta e non ha piú intenzione di fingersi morta. Intrepido nella sua schiettezza, vivido come un film di Wes Anderson, Facciamo che ero morta è un originale viaggio tra anime dannate, un romanzo che ride con affetto delle stramberie e delle imperfezioni degli esseri umani celebrandone al tempo stesso tutta la forza.