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Così si muore a God’s Pocket
Un romanzo criminale che ha la tenebrosa e comica
malinconia di certi film di Clint Eastwood. Forse il piú bello
e toccante scritto da Pete Dexter.
«God's Pocket canta, ringhia, aggredisce, fa ridere,
ti offre da bere, ti ruba il portafoglio, e ti porta a casa per
incontrare la famiglia».
Richard Price
Il libro
Leon Hubbard ha ventiquattro anni, fa il muratore in un quartiere di Filadelfia. È la disperazione del suo caposquadra, perché è il classico ragazzo sempre in cerca di guai. Non perde mai occasione di estrarre il rasoio che porta nella tasca posteriore.
Ci fa tutto, con quella lama. Ci mangia, ci dorme, ci scherza, forse ci fa pure l’amore. Un giorno, però, ci fa qualcosa di sbagliato. Lo piazza sotto la gola di un collega, il quale per tutta risposta gli fracassa il cranio. Quando la polizia giunge sul posto, il caposquadra decide di nascondere la verità e fornisce una versione di comodo. La morte di Leon verrebbe tranquillamente liquidata come il solito incidente sul lavoro, non fosse che sua madre vuole vederci chiaro. E quella che in partenza era soltanto una brutta storia da insabbiare si trasforma in un affare di stato che coinvolgerà stampa, mafia e l’intero quartiere di God’s Pocket, un’enclave di povertà e desolazione dove tutti sanno tutto di tutti e solo la gente del posto ha diritto di cittadinanza.
«Ovviamente, non ho idea di cosa insegnino nelle scuole di giornalismo al giorno d’oggi, ma non è ciò che si impara a God’s Pocket. Per cui, forse, non è colpa loro – dei New Journalists – se ritengono che morire in quel quartiere non sia un fatto degno di nota. Se la morte di un uomo di ventiquattro anni che aiutava sua madre e il suo quartiere non fa notizia».