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Il fiume dell’oppio
Trascinante e ipnotico, il secondo volume della «trilogia della Ibis» è una narrazione di grande fascino che ci svela il cuore oscuro e pieno di contraddizioni di un paese e delle sue genti.
Il libro
Nel settembre del 1838 una tempesta si abbatte sull’Oceano Indiano e la Ibis, la goletta partita da Calcutta con un carico di galeotti diretta a Mauritius, viene coinvolta nel vortice. Quando il mare si calma, cinque uomini mancano all’appello: due lascari e tre coolie sono riusciti a fuggire su una scialuppa. Seconda tappa di una grandiosa epopea storica, Il fiume dell’oppio segue i suoi personaggi fino ai porti affollati della Cina. Tra mercanti con abiti di seta e lunghe trecce che cadono sulla schiena, inglesi della Compagnia delle Indie, americani dai modi disinvolti e indiani con le vesti di broccato, a Canton tutti adorano un unico dio, il denaro, e riconoscono un’unica legge, quella del libero commercio. Nel dedalo dei corsi d’acqua della città, le navi provenienti dall’Europa e dall’India scambiano i loro carichi di oppio con casse di tè, seta, porcellana e argento. Almeno finché il Celeste Imperatore non spariglia le carte in tavola e dichiara guerra all’oppio e agli occidentali.