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Facce bianche
«Facce bianche è il libro sulla guerra in Libano, che continua all'infinito seminando dolore e desolazione».
Tahar Ben Jelloun
Il libro
Beirut, aprile 1980. Ormai da cinque anni la guerra civile devasta la città. Esausti ma non domati, gli abitanti di Beirut sopravvivono come possono: la piccola Aida si nasconde sotto i tavoli e uggiola come un cagnolino, la portiera Fàtima smette di parlare e si rifugia in un mondo di sogni, il dottor Harùt fa enormi scorte d’acqua nel timore che l’erogazione venga interrotta. E un uomo qualunque, Khalìl Ahmad Jàbir, viene rinvenuto cadavere in mezzo a un cumulo di immondizie. Per capire chi lo ha ucciso e perché, la voce narrante del romanzo si improvvisa investigatore e dà voce a quanti hanno conosciuto o anche solo incontrato la vittima – la moglie, la figlia, un vicino, la portiera, un miliziano e il netturbino che ha trovato il cadavere. Ed è nell’incessante accumulo di storie che partono o si concludono con morti violente che l’assassinio di Khalìl Jàbir perde di significato, da eccezionalità diventa quotidianità.
«Una mattina ho letto sul giornale un articoletto che titolava: “Abominevole delitto in zona Unesco”. Non so perché, ma ogni volta che leggo la parola “abominevole” mi schizza in testa la parola “ammirevole” e perciò la frase mi è suonata così: “Ammirevole delitto in zona Unesco”. Lo sguardo mi è balzato via, dal titolo alla foto della vittima. Un uomo sulla cinquantina inoltrata, tracce di percosse sul petto nudo, in faccia tagli e squarci».