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Casa d’altri
Casa d'altri è stato definito da Montale «un racconto perfetto». Pare fatto d'aria, tanto che si può riassumere in due righe: «Un'assurda vecchia: un assurdo prete: tutta un'assurda storia da un soldo». Eppure - per la sua capacità di toccare nel profondo il senso della vita - è uno dei racconti piú belli del Novecento.
Il libro
In gioventú, lo chiamavano Doctor Ironicus per la sua intelligenza sottile; ormai sessantenne, il protagonista di Casa d’altri non è che un «prete da sagre», confinato in un paesino della provincia emiliana dove non succede mai niente e dove «appaiono strane anche le cose più ovvie». Zelinda, però, una vecchia che passa le sue giornate a lavare i panni al fiume, senza avere alcun contatto con la gente, così ovvia non è; e non è ovvio neppure il tentativo di comunicazione che cerca d’instaurare con il prete, interrogandolo vagamente sulla legittimità di derogare a una «regola» della Chiesa cattolica. Quale sia questa regola, lo si scoprirà soltanto alla fine: quando il Doctor Ironicus, «così goffamente da provare vergogna di tutte le parole del mondo», non saprà dare alla vecchia che una risposta convenzionale e inadeguata. Intanto il lettore si trova coinvolto in una vicenda dal ritmo sempre più serrato, in un intreccio di tensioni e conflitti, in una lingua densa insieme di concretezza e di lirismo. Lo stesso clima di attesa incalzante si ritrova negli altri racconti: da Elogia alla signora Nodier, dove la protagonista, morto il marito, si chiude in una quieta infelicità, ai Due vecchi la cui serenità coniugale è turbata dal ricatto di uno studente. Nei temi comuni della solitudine, dell’isolamento, della diversità, c’è la disperazione lucida e modernissima di vivere il proprio tempo e il proprio luogo come «casa d’altri».