Giulio Einaudi editore

Machiavellerie

Storia e fortuna di Machiavelli
Machiavellerie
Storia e fortuna di Machiavelli
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«Machiavelli non fu un autore dei miei anni migliori», scrive Dionisotti nell'epilogo di questo volume, ricordando come allora «sull'immagine di lui stingesse quel repellente machiavellismo che la crisi politica dell'Europa aveva riesumato e rimesso di moda». E tuttavia questi studi - in parte apparsi in rivista, in parte inediti - riassumono esemplarmente una «cinquantennale esperienza storica e filologica», se la densità della pagina, il rigore dell'erudizione possono essere il frutto soltanto del lavoro di chi ha vissuto nella diuturna frequentazione dei classici.

2014
eBook
pp. 488
€ 9,99
ISBN 9788858414736

Il libro

Con straordinario scrupolo critico, testi ed eventi sono ricondotti al loro preciso contesto storico, così da sgombrare il campo da sbavature anacronistiche e ricostruzioni approssimative che hanno intorbidato questioni già di per sé complesse di storia politica e sociale come di storia letteraria. Ne scaturisce una lezione di metodo, che non rifugge da scatti polemici: queste Machiavellerie, «scontrose piuttosto che indulgenti», sono la testimonianza dell’etica intellettuale di un grande studioso. Dai saggi sui rapporti col Valentino e il suo luogotenente e boia don Micheletto a quelli sulla lingua e la civiltà letteraria del primo quarto del Cinquecento, ci appare la multiforme attività di Machiavelli che, se non fu un umanista nel senso proprio del termine, sempre riflette nella sua personalità e nella sua cultura il sapere e il sentire del suo tempo nelle punte più avanzate e originali: dalla grande stagione di Lorenzo il Magnifico e del Poliziano fino all’età del primo e del secondo papato mediceo, tragicamente chiusa dal sacco di Roma. Nel cuore di questo periodo, Machiavelli, «dopo la delusione del Principe, sempre più animosamente s’impegna a cercare nella letteratura militante dell’età sua una ragione di vita», e dai Discorsi all’Arte della guerra vagheggia una soluzione della crisi italiana «attraverso il recupero dell’antica tradizione fiorentina, in direzione opposta agli sviluppi cortigiani comuni al resto d’Italia».

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