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Senzaterra
Il libro
Gaetano è un ragazzo di un remoto paese della Sicilia dove convivono riti arcaici e tracce di una modernità mal digerita. Un paese sconciato dall’abusivismo e da tanti altri mali. Molti lì sono emigrati in Germania alla ricerca di una vita più dignitosa. Tra questi, il padre di Gaetano che, operaio specializzato in una grossa azienda tedesca, vorrebbe tirare fuori il figlio da quella palude. È tornato in paese per questo. Vuole aprire un bar in Germania, vuole che Gaetano l’aiuti, che magari si prenda una laurea lì, che viva insieme a lui, perché «è brutto stari suli, lariu assai». Gaetano però non ha nessuna intenzione di seguirlo. Lì ha i suoi amici, una zia anziana che ama moltissimo, una madre seppellita nel cimitero del paese cui ha promesso di non andar via, e un timore, soprattutto un timore: quello di finire come i tanti immigrati che sbarcano sulle spiagge vicine, «morti di fame» che hanno perduto, insieme alla terra, la loro dignità e qualsiasi prospettiva di riscatto.
Arrivano clandestini sui barconi, si disperdono nelle campagne, si acconciano a lavorare per una manciata di euro nelle serre che, come «un mare finto», dilagano nel paesaggio. Così è stato anche per Alì, un nordafricano che, espulso dal proprio paese, ha scelto la clandestinità e l’anonimato di quei tunnel di plastica.
E proprio in un’azienda che produce ortaggi in serra s’incrociano i destini di Gaetano e Alì. Una serra gestita da un boss della zona, don Michele, che apprezza i «bravi lavoratori» che non «parrano ammatula», che sanno cioè tenere la bocca chiusa.
Le due vicende umane, quella di Alì e quella di Gaetano, finiscono così quasi per sovrapporsi e diventare una lo specchio dell’altra. Alì è un «senzaterra», in balia del suo destino d’immigrato. Gaetano è uno che crede di averla, una terra, solo che, a poco a poco, non può fare altro che sentirsela sfarinare sotto i piedi. Quella terra madre rivendicata all’inizio da Gaetano, privata di ogni peso diventa l’oggetto sfuggente di un desiderio che rischia di rimanere deluso, di naufragare nel nulla di quel paesaggio lunare in cui riecheggerà infine l’urlo di Alì in fuga, l’urlo di chi davvero non sa più dove andare.
Il romanzo Senzaterra è ispirato alla storia originale scritta dall’autrice per il film La Terramadre (58° Festival Internazionale del Cinema di Berlino – sezione Forum, regia di Nello La Marca).
«- Noi siamo così… – lancia un’occhiata ai Ray Ban di Liborio, stilizzati, bellissimi. – Tutto fumo, Libò, – sfila dalla tasca il telefonino, se lo rigira tra le mani. – Fumo tecnologico -. Poi ruota la testa, guarda il paese in basso, scorticato dalla luce. – Mozzicato dai topi pare, – sussurra. – Che è un paese, questo? Si può chiamare paese questo, Libò?
Liborio si volta a guardare quei grumi di cemento sparpagliati intorno, fino ad aggredire la costa e il mare. Ha un sussulto, quando scorge là in mezzo il prospetto della sua casa inglobato tra facciate identiche, spettrali.
Gaetano abbassa la testa, la lascia dondolare sul collo: – Ma come cazzo si fa a rimanere qua?
– Allora vattene!
– Non è possibile.
– E smettila di dire minchiate! Che ci stai a fare tu qua, la verità!
– E tu?»