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Satyricon a Napoli ’44
«La nostra adolescenza era trascorsa senza che ce ne accorgessimo, e noi insistevamo a cercarla come un orologio da polso smarrito o scippato».
Il libro
Il maestro indiscusso della cultura musicale napoletana racconta la «scandalosa epopea del dopoguerra». Lo sguardo limpido e spietato di un ragazzo straordinario in un irriverente romanzo autobiografico, che s’inchina a Petronio e strizza l’occhio a Fellini.
A Napoli dopo la guerra non c’è rimasto nemmeno il tempo di pensare. I mesi si sono fatti polvere, polvere sono le case bombardate, polvere è il cibo liofilizzato che riempie i piatti, e i sogni pure sono «polvere di stelle», come canta per le strade un motivetto hollywoodiano. Però sotto la polvere la città è viva, anarchica, persino spudorata. Soprattutto se a raccontarla sono gli occhi di un ragazzino; soprattutto se il ragazzino è Roberto De Simone. La cronaca di un anno eccezionale, un romanzo di formazione fatto di episodi brevi e spesso ambigui, sempre acutissimi. I bombardamenti, l’amicizia, i bordelli e il contrabbando. E poi il conflitto fra cultura scritta e cultura orale. Ma anche la fede, i voti e i miracoli: il passaggio dalla religiosità popolare a quella stimolata dai media – i rotocalchi diffondono le immagini di «un bel frate con la barba nera» che risponde al nome di padre Pio. E infine, naturalmente, la musica: quella che il piccolo protagonista suona al pianoforte, ma anche le canzonette e i canti popolari. De Simone attinge alla memoria delle immagini e a quella delle parole per restituirci il ritratto fedele di una città grottesca e sublime, che anche «nel periodo della piú calamitosa miseria» mantiene salda la consapevolezza di sé.