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Mania
Il libro
Sei storie e sei mondi dell’immaginario d’oggi che preme per farsi azione. È cosí che un brano di musica perduto nell’etere costituisce il movente per un omicidio senza assassino; che violare la morte diventa ammissibile in virtú della persuasione, della seduzione del discorso; in una novella lanciata in Rete il racconto preciso e spietato della lotta corpo a corpo travalica la finzione e diviene sperimentazione diretta del Male; una canagliesca notte napoletana precipita nella geometria senza scampo di una macchina da sepoltura settecentesca; un’antica fortezza, quasi un oggetto magico, convoca corpi in battaglia e una vittima vera nell’epoca della pura virtualità; infine, il passaggio di una cometa trasforma l’osservare in amare. Mania, dunque, come demone che sconvolge la mente, come vocazione, intimazione al proprio destino, ma anche forma dei sentimenti piú radicati e misteriosi, modo estremo della conoscenza.
Ogni volta che un racconto si apre, i personaggi, i luoghi e i motivi partecipano all’azione ma non la determinano in modo univoco, e sorprendono continuamente il lettore. Gesti e parole sono di volta in volta fossili o premonizioni di altri gesti e parole. La ricchezza dei linguaggi si unifica nel sentimento e nella sensazione fisica, nell’onnipresenza del corpo, secondo il percorso annunciato da uno dei personaggi: «Mi piacerebbe condurla fino al punto in cui si smette di capire, si smette di immaginare; io vorrei condurla dove si comincia a sentire». La mania è anche questo, il gioco a due facce delle fantasie e dei corpi, in cui per diventare cacciatore è necessario farsi preda. E la caccia in cui sono presi Evil Live e Timetolose, Santino e l’architetto Fuga, il capitano Marni e il suo colonnello, lo studioso della polvere, l’astronoma dilettante e il musicista dei pesci. Nei racconti di Del Giudice la scrittura governa una storia in cui primi ad essere coinvolti – a tenere il fiato sospeso – sono il narratore e il lettore, pedine della suspence, eroi del desiderio e della scommessa con la morte. Proprio in questa scommessa, e nell’ironia che essa richiede, la narrazione può prendere ancora la «parola cosí antica dell’avventura».