-
Antropologia e religione Antropologia e religione
-
Arte e musica Arte e musica
-
Classici Classici
-
Critica letteraria e linguistica Critica letteraria e linguistica
-
Filosofia Filosofia
-
Graphic novel Graphic novel
-
Narrativa italiana Narrativa italiana
-
Narrativa straniera Narrativa straniera
-
Poesia e teatro Poesia e teatro
-
Problemi contemporanei Problemi contemporanei
-
Psicologia Psicologia
-
Scienze Scienze
-
Scienze sociali Scienze sociali
-
Storia Storia
-
Tempo libero Tempo libero
Il monastero delle ombre perdute
Catacombe, idoli dall'aspetto sconvolgente, donne bellissime e dalle parentele ingombranti. In un Seicento quanto mai gotico, l'inquisitore Girolamo Svampa è chiamato a indagare su un mistero che scuote i vertici del potere papale.
Il libro
Roma, giugno 1625. La giovane Leonora Baroni entra con uno spasimante nelle catacombe di Domitilla, ma qui s’imbatte nel cadavere di un uomo e, con uguale orrore, in una donna dalla faccia di capra. Due giorni dopo l’inquisitore fra’ Girolamo Svampa, in esilio in Toscana, riceve la visita di padre Francesco Capiferro, segretario dell’Indice, che ha l’incarico di riportarlo nell’Urbe per far luce sul delitto. Nominato commissarius nonostante l’opposizione di Gabriele da Saluzzo, suo storico nemico, lo Svampa, aiutato dal fedele Cagnolo Alfieri, inizia l’inchiesta prendendo contatti con la famiglia di Leonora, e subito comprende che il terreno su cui dovrà muoversi è parecchio scivoloso. Questa, infatti, è figlia di Adriana Basile, celebre cantante e sorella del grande scrittore napoletano Giambattista, che a causa di una fiaba finisce con l’essere pericolosamente coinvolto nella vicenda. A complicare le cose, il «circolo delle donne cantanti» raccolto intorno a Adriana e la sorella di quest’ultima, Margherita, un personaggio enigmatico, dai molteplici talenti, che per lo Svampa sembra nutrire un interesse particolare.
«Lo Svampa si avvicinò con passi leggeri e si chinò su padre Capiferro per controllarne il respiro. Non gli era mai capitato di osservarlo cosí da vicino e per la prima volta fece caso alla sua fronte nobile, ben distesa, e al naso aquilino. Raramente si soffermava sui tratti fisici delle persone e ancor piú di rado ne conservava memoria. A quel genere di particolari, fin troppo comuni e ripetitivi, ne preferiva di piú astratti, derivati dalle sensazioni e dai contesti legati alla gente con cui aveva a che fare. Come se ogni singolo individuo si riducesse a una nebulosa di pensieri, colori e odori che di tanto in tanto entravano in collisione con lui, costringendolo a prenderne atto. Si rialzò e ripiegò verso l’uscita. Per il momento, il suo piano di vendetta doveva attendere. Tanto valeva occuparsi del caso per cui era stato richiamato a Roma».