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Il meccanico delle rose
Se è vero che «noi siamo bambole e il Cielo è una bambina», come recita una quartina di Omar Khayyâm, forse la vita di ognuno di noi - come quella del protagonista di questo romanzo - può essere raccontata attraverso le storie di chi ci ha sfiorati. È questa la scommessa struggente del Meccanico delle rose.
Il libro
«Dice che solo lui conosce i ghiribizzi delle sue rose, solo lui capisce, dal colore dei petali, di quale attenzione hanno bisogno. Le annaffia ogni giorno, e tiene più puliti quei cespugli che le sue unghie, sempre sporche di grasso. Usa un oliatore a becco lungo per concimarle alla base e una pistola per la verniciatura contro i parassiti. Quel giardino è il suo paese dei balocchi, dove tornare a essere un bambino che gioca a fare il meccanico delle rose».
Il protagonista di questo libro si nasconde letteralmente tra le righe. Abita non più di una frase del primo capitolo, e negli altri fa la sua comparsa a tempo debito. Eppure al centro del romanzo c’è lui: il protagonista assente, che proprio restando ai margini delle vite degli altri acquista una paradossale centralità.
La sua storia è raccontata attraverso le storie delle persone che sono state importanti per lui, nell’Iran dagli anni Venti ai giorni nostri: il padre, il cugino, la moglie, la figlia, una donna amata.
Chinandosi su ognuno di questi personaggi, e narrando le loro vicende come se fosse sulla loro spalla, l’autore riesce a farci entrare in profondità nelle tante vite che formano una vita, e un mondo.
Akbar – che vive in un paese ai bordi del deserto dove si estrae la migliore essenza delle rose di Persia – è un capofamiglia religioso e rispettato e trova un modo tutto suo per rimediare ai torti del destino che gli ha rubato un figlio.
Khodadad è appena un ragazzino quando fugge di casa in cerca di se stesso, nei giorni dell’anniversario del martirio dell’Imam Hossein e dei suoi settantadue seguaci.
Donya ha conosciuto la felicità e la disperazione, prima di andare in sposa a un uomo che ha il doppio dei suoi anni.
Mahtab stava per laurearsi in medicina e iniziare una nuova vita, quando è incappata nei Guardiani della Rivoluzione.
Laleh ha il nome d’un fiore – quello del martirio – e forse è una «pazza d’amore»: è lei, dal letto di un ospedale, in un lucido delirio, a tirare inconsapevolmente i fili di tutte le storie, e a restituire il volto contraddittorio del suo amato, il meccanico delle rose.
Il quadro dunque è compiuto. Ma chi è al centro di quel quadro? L’uomo che dà il titolo al libro ha creduto – come tutti – di essere protagonista della sua vita, ed è stato una comparsa in quella degli altri.
Quel che è certo è che sullo sfondo, dietro le tante figure, resta un Paese riconoscibilissimo ma mai nominato, per rispetto di chi – vivendo nei suoi confini – non può nominarlo.