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Emanuele nella battaglia
Da un grande regista, un romanzo-reportage su un celebre capitolo della cronaca nera italiana degli ultimi anni: l'omicidio di Emanuele Morganti, più noto come il delitto di Alatri.
Daniele Vicari è un regista di fama internazionale e questo è il suo
primo romanzo.
Il libro
Che mistero è la realtà? Quando un regista come l’autore di Diaz si fa una domanda come questa, può venirne fuori solo un romanzo di rara forza. Al centro c’è l’assassinio di un ragazzo di vent’anni, Emanuele Morganti, fuori da una discoteca di Alatri: un fatto di cronaca di cui si è parlato molto e su cui poi è calato il silenzio. Ed è proprio a questo silenzio che dà voce Daniele Vicari, intrecciando vite, piste, testimonianze, e soprattutto le voci piú intime di chi non si è mai arreso all’idea di aver perduto cosí, nell’insensatezza, un fratello, un figlio, un amico. «Qualcuno la chiama in modo generico “provincia” ma, in alcune zone del Paese, quel mondo può diventare una sorta di aldilà». E in questo aldilà l’autore fa i conti anche con se stesso, con il cinema, con il senso di ricostruire e narrare storie, senza risparmiare niente e nessuno.
Alatri, provincia di Frosinone, nel cuore della Ciociaria. Nella notte tra il 24 e il 25 marzo del 2017 un ragazzo, Emanuele Morganti, viene picchiato a morte davanti a una discoteca. Nessun movente che possa spiegare la violenza degli assassini, arrivati a sfondare il cranio a un ventenne che stava trascorrendo una serata come tante tra amici. Difficile ricostruire il groviglio delle circostanze in cui tutto è accaduto in questa cittadina che all’improvviso si ritrova catapultata su giornali, telegiornali, social, trasmissioni d’intrattenimento tra lo sconcerto, la rabbia, la voglia di denuncia, mentre l’Italia intera, commossa, famelica, o soltanto curiosa, si stringe attorno alla famiglia e alla comunità in un cocktail di dolore vero, gogne mediatiche, aggressioni via web, speculazioni… Poi, dopo tanto clamore sul «delitto di Alatri», arriva l’oblio. Ed è in questo oblio, nel cono d’ombra in cui si affollano interrogativi e ferite, che s’inabissa il romanzo-reportage di Daniele Vicari, con il pudore di chi ha intimità con quei luoghi, i boschi di castagni tanto amati da Emanuele; quella provincia in cui convive tutto (degrado, locali trendy, riti e saperi arcaici); quella famiglia Morganti di cui l’autore prende a seguire le esistenze quando sembra non ci sia piú nulla da raccontare. Perché è lí che risuona la verità piú umana e profonda, se ci si mette in ascolto, ad esempio, di Melissa, sorella di Emanuele, che non si ferma davanti a nessuna soglia, nessuna domanda, nessun pericolo pur di accertare i fatti, ovunque si possa carpire un briciolo di senso nell’insensatezza. È lí che si ritrova Emanuele vivo, il ragazzo innamorato della natura e della vitalità, se si seguono le parole di un padre come Peppe. È lí che rivive ogni memoria se si sanno cogliere i gesti e le frasi di una madre come Lucia con la sua compostezza e determinazione nel prendersi cura di quel che le resta del figlio: una tomba. Ed è lí, infine, che si dipanano fili e frammenti segreti che collegano fatti, circostanze, amici fraterni, nemici camaleontici, opportunisti, delinquenti, sbruffoni, una comunità intera che va ben oltre i confini della provincia e, con le sue contraddizioni abissali, interroga l’Italia tutta, i mass media, la gente comune, e persino chi, come Daniele Vicari – da regista e ideatore di storie in cui la verità e l’immaginazione si mescolano – contribuisce a creare mondi che, in una distorsione folle quanto imprevedibile, potrebbero anche fare da sfondo a gesti inauditi. Perché Emanuele nella battaglia è uno di quei libri in cui, alla fine, non si risparmiano domande scomode e disagi nemmeno a chi prova a ricostruire, scrivere, restituire e far durare nella memoria collettiva le pieghe piú segrete di quella stessa storia.