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Alfabeto Poli
«Sono partito col piede sinistro fin dalla piú tenera età».
Allergico ai bacchettoni e ai benpensanti, armato di una comicità sovversiva, da sempre fidanzato con i libri, Paolo Poli non ha mai avuto paura di stare al mondo come gli veniva meglio: con una risata. Dalla A di Avanspettacolo alla Z di Zeffirelli, il suo Alfabeto è un decalogo dell'intemperanza, una giostra di guizzi e ricordi, il perfetto antidoto al conformismo dei giorni che stiamo vivendo. Un atipico «romanzo parlato» che ripubblichiamo per rileggerlo con la gratitudine della prima volta.
Il libro
«Il messaggio del mio teatro? Io il messaggio lo lascio nella segreteria telefonica». L’irriverenza è una forma d’arte, e Paolo Poli la esercitava divinamente. Frivolo all’occorrenza, superficiale per finta, sconveniente per gusto della provocazione: una «ragazza irrecuperabile» di quelle che ancora oggi profumano di scandalo e di novità. Poli è stato un attore, un istrione, un affabulatore irresistibile. Un maestro dello spettacolo italiano del Novecento, capace di esercitare sulla realtà uno sguardo fantasmagorico e anticonformista, quello di chi conosceva bene l’importanza di ridere e di far ridere, di trasformarsi e di raccontare al suo pubblico una storia diversa. Sullo sfondo di un’Italia vecchia e bigotta, agguantata nei suoi aspetti meno prevedibili, il suo genio procedeva spigliato, tra divertimento e lampi di malinconia, alla ricerca di una personalissima etica della leggerezza. Per questo oggi, a sette anni dalla morte, le sue parole continuano a suonare come un argine necessario alla deriva moralista del nostro Paese. Rileggendo mezzo secolo di interviste (cartacee, radiofoniche e televisive, molte disperse, quasi introvabili), Luca Scarlini ha costruito un sillabario poetico e brillante: un Alfabeto Poli che saltella sul filo dell’ironia. In una sarabanda di racconti spericolati e divagazioni fulminanti, tra lo sberleffo, la memoria e l’analisi culturale, Poli disegna in assenza il suo «ritratto in piedi», un testamento giocoso ma serissimo. Non c’è niente di piú sincero, in fondo, di un libro scritto cosí: vivendo.