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Prismi
Se i Minima moralia sono il capolavoro dell'Adorno aforista, questo libro lo è dell'Adorno saggista, sia che egli schizzi a grandi tratti il significato sociale di un fenomeno come il jazz, sia che analizzi puntigliosamente, sul testo del carteggio tra George e Hofmannsthal, le contraddizioni e le aporie di un intero ambito culturale attraverso le grandezze e le miserie dei suoi protagonisti.
Il libro
In questo volume Adorno raccolse i migliori saggi di quella che fu la sua stagione piú felice: gli anni della Seconda guerra mondiale e dell’immediato dopoguerra. Al centro sta il discorso sulla «crisi della civiltà», e l’indagine sulla validità di questo discorso, di cui Adorno accetta i fermenti negativi e rifiuta le soluzioni nostalgiche o disfattiste. Il saggio iniziale sulla critica della cultura, quelli finissimi su Spengler, Veblen, Huxley e la stroncatura della sociologia del sapere di Mannheim si leggono come critiche definitive di quei prototipi del pensiero conservatore di cui la cosiddetta cultura di destra ripeteva straccamente i motivi. Ma questa tematica di fondo si rifrange nei «prismi» lumeggiando, oltre alla sociologia, anche gli altri campi in cui Adorno era maestro: filosofia, musica, letteratura. È anzi qui che emergono le figure a lui piú care: quelle di coloro – Schönberg, Benjamin, Kafka – che seppero fissare il volto della Medusa senza abdicare alla ragione, e misurare fino in fondo l’abisso per affermare l’esigenza dell’utopia.