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Filosofia, mitologia e pseudo-scienza
È noto che Wittgenstein fu un grande ammiratore di Freud, perché vedeva in lui la capacità di proporre analogie illuminanti per la comprensione di fatti al tempo stesso familiari ed enigmatici. Ma ciò che Wittgenstein non accetta della psicanalisi - ed è quanto Bouveresse sottolinea in questo suo saggio - è il suo caratere di pseudoscienza, che ricerca le cause dei fenomeni in una indimostrabile attività inconscia.
Il libro
Bouveresse ricostruisce qui per la prima volta il rapporto tra Wittgenstein e Freud nei termini di un confronto fra due temperamenti filosofici divergenti. Partendo dall’analisi delle note wittgensteiniane sulla psicoanalisi, l’autore evidenzia una posizione ambivalente nei riguardi della teoria freudiana: da una parte, Wittgenstein ammira Freud per la sua capacità di proporre analogie nuove e di dare una rappresentazione dei fatti psichici ingegnosa, simile ad una spiegazione estetica, dall’altra critica la sua pretesa di estendere i concetti in teorie e di trovare l’essenza del sogno, del lapsus o del motto di spirito. Ciò di cui egli accusa Freud è di «produrre sotto il nome di scienza della cattiva filosofia, cioè di elevare a virtú scientifiche i vizi piú tipici dell’atteggiamento filosofico tradizionale». Ma, oltre che una serie di errori filosofici, Wittgenstein rimprovera a Freud anche l’uso di metodi di ricerca inadeguati, se confrontati con i metodi delle scienze; ed è proprio questo che gli fa considerare la psicoanalisi come una sorta di mitologia, e, nello stesso tempo, rende ancora piú problematica la sua concezione delle possibili relazioni tra scienza e filosofia. Tuttavia Bouveresse mette in guardia dalla tentazione di usare queste note wittgensteiniane per un’ennesima critica «scientista» alla psicoanalisi, e sottolinea piuttosto come l’aspetto interessante del lavoro di chiarificazione filosofica di Wittgenstein consista nel tentativo di indagare a fondo le ragioni dell’attrazione e della repulsione che la psicoanalisi esercita su di noi, riconoscendo che il fascino delle interpretazioni psicoanalitiche dipende dal loro potere di conferire una dimensione inquietante a comportamenti a prima vista del tutto innocui.