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Un paese lontano
Nell'osservare la tradizione del romanzo, Franco Moretti ha inaugurato ricerche che hanno immesso aria nuova nelle asfittiche stanze della saggistica letteraria. Allo stesso modo, quando ha affrontato all'Università di Stanford l'insegnamento della «Literary History», decise di tracciare percorsi interdisciplinari inconsueti, incrociando letteratura, cinema e pittura per ripensare l'approccio alla materia. Il libro raccoglie cinque di queste lezioni esemplari, alla base delle quali vi è la scommessa che ogni insegnante dovrebbe imporsi per svolgere al meglio il proprio compito di fronte a studenti che spesso di storia della letteratura sanno poco o nulla.
Il libro
Cinque saggi brevi e compatti, che individuano alcuni concetti fondamentali della modernità, per riflettere criticamente sullo sviluppo planetario dell’egemonia culturale americana, accostando Whitman a Baudelaire, il western al film noir, Hemingway a Joyce, Miller a Brecht, oppure Vermeer a Hopper e Rembrandt a Warhol. Riflessioni critiche e puntuali analisi stilistiche evidenziano dissonanze, antitesi e conflitti, e compongono una sorta di breviario di educazione estetica, utile a illustrare le diverse realtà culturali e le metamorfosi delle forme artistiche all’interno di distinti contesti sociali, tra Vecchio e Nuovo mondo. Con una missione: risvegliare in ogni lettore il «senso di meraviglia per quel che la letteratura sa fare», dimostrando soprattutto che «vale la pena studiare la letteratura, e non solo leggerla per piacere».
«Un sogno, o forse un’ossessione. Nulla deve fermare la marcia della carovana: una preghiera mormorata in fretta, e i morti vengono lasciati per sempre alle spalle; una bambina nasce, e dopo qualche ora è già sul carro. La vita è al tempo stesso implacabilmente quotidiana – sempre lí a far bollire il caffè, a rammendare calzini e lavare l’unica camicia decente – e del tutto imprevedibile: un pericolo che non viene tanto da altri esseri umani (benché il conflitto con gli “indiani” compaia in quasi tutti i film sulla migrazione verso ovest), quanto dall’ostilità della natura: fa sempre troppo caldo, troppo freddo, troppo secco, troppo vento pioggia, polvere, neve, montagne, rapide »
«L’opera di Edward Hopper è insieme una lontana eco di quella di Vermeer, e il suo rovesciamento. Anche qui, vita di ogni giorno: ma la vivacità dell’Olanda del Seicento è ricaduta nelle antiche associazioni del termine “quotidiano”: un che di incolore, mesto, monotono, privo di storia. [ ] Una vita privata senza vita; e giú in strada, una sfera pubblica senza pubblico. Farmacia: chiusa. Domenica mattina: vuota. È domenica mattina, e dalle ombre si capisce che è presto, dunque è logico che non ci sia in giro nessuno. Ma in arte la causalità è sempre teleologia mascherata: nessuno aveva costretto Hopper a dipingere una farmacia dopo l’orario di chiusura, o una strada all’alba; se lo ha fatto, è perché voleva dipingere lo spazio pubblico come un deserto. È la vera e propria impresa dei Nottambuli: infilare quattro persone in un piccolo spazio – e farlo sembrare vuoto».