Giulio Einaudi editore

Tra le pieghe delle parole

Lingua storia cultura
Copertina del libro Tra le pieghe delle parole di Gian Luigi Beccaria
Tra le pieghe delle parole
Lingua storia cultura
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Le parole racchiudono memoria e fantasia. Portano il segno del passato, sono intinte nella storia, nei suoi grandi avvenimenti, ma anche nei piccoli, nella piccola storia e la sua casualità. Il loro significato si lega spesso a usanze perdute, ad abitudini da tempo dismesse, a racconti e leggende.

2007
Saggi
pp. XIV - 230
€ 19,50
ISBN 9788806175344

Il libro

Perché chiamiamo Oscar la statuetta d’oro e croissant il cornetto a forma di mezzaluna? E dove hanno avuto origine espressioni come: «Cavarsela per il rotto della cuffia» o «Allevare una serpe in seno» o «Fare la gatta morta»? Perché il luogo dove abitiamo porta quel nome, e qual è l’origine dei nostri cognomi? In essi c’è sempre traccia evidente e duratura del passato. Anche i nomi di inventori, viaggiatori, scienziati, legati alle loro scoperte, sopravvivono come termini d’uso comune: mansarda, biro, bignami, magnolia, ecc. La lingua nomina quel che siamo, giudica il diverso, lo straniero, genera un cumulo di “parole contro”, testimonia distacchi culturali e differenti punti di vista. Ogni scelta linguistica, ogni parola-chiave che in determinati momenti storici è diventata una sorta di parola-bandiera, si fa strumento per sistemare il mondo circostante. La lingua testimonia cosí le stratificazioni del tempo, protrae nel presente immagini e pareri condivisi e sedimentati nei modelli sociali e culturali del passato.

«Leggere un dizionario etimologico è come leggere un romanzo. Mi piace talvolta scorrerlo a caso, senza uno scopo preciso. Si fanno incontri inattesi tra parola e storia, tra lingua cultura e società. Apri alla lettera s e trovi che la parola salario risponde all’usanza nell’antica Roma di pagare le truppe con una certa quantità di sale, ingrediente prezioso per conservare i cibi. Alla lettera a t’imbatti in abbacchio, piatto tipico della cucina romana: è l’agnello da latte, e cosí si chiama perché viene dal lat. ab baculum “vicino al bastone”: dieci giorni dopo la nascita, sino al quarto mese, i piccoli erano tenuti legati a un bastone, un paletto che evitava loro di saltellare qua e là e farsi male. Sfogliando ancora, alla g t’imbatti nell’agg. genuino, che risale al lat. genu «ginocchio», perché nell’antica Roma il figlio legittimo era dichiarato di fronte a testimoni «vero, autentico, genuino» dopo il gesto rituale che consisteva nel sollevarlo in alto e poggiarlo sulle proprie ginocchia.
A tratti la spiegazione dell’etimologista volge decisamente al poetico, come quando leggi che embrione, coniato sul gr. enbryein, significa «ciò che fiorisce dentro»; e che nubile viene dal latino nubile(m), a sua volta dal verbo nubere, “sposarsi”: le nozze in latino sono le nuptiae, ma hanno la stessa radice di nubes “nube”, perché la sposa veniva velata, come fanno le nubi quando coprono il cielo e la luce».

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