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Tra le pieghe delle parole
Le parole racchiudono memoria e fantasia. Portano il segno del passato, sono intinte nella storia, nei suoi grandi avvenimenti, ma anche nei piccoli, nella piccola storia e la sua casualità. Il loro significato si lega spesso a usanze perdute, ad abitudini da tempo dismesse, a racconti e leggende.
Il libro
Perché chiamiamo Oscar la statuetta d’oro e croissant il cornetto a forma di mezzaluna? E dove hanno avuto origine espressioni come: «Cavarsela per il rotto della cuffia» o «Allevare una serpe in seno» o «Fare la gatta morta»? Perché il luogo dove abitiamo porta quel nome, e qual è l’origine dei nostri cognomi? In essi c’è sempre traccia evidente e duratura del passato. Anche i nomi di inventori, viaggiatori, scienziati, legati alle loro scoperte, sopravvivono come termini d’uso comune: mansarda, biro, bignami, magnolia, ecc. La lingua nomina quel che siamo, giudica il diverso, lo straniero, genera un cumulo di “parole contro”, testimonia distacchi culturali e differenti punti di vista. Ogni scelta linguistica, ogni parola-chiave che in determinati momenti storici è diventata una sorta di parola-bandiera, si fa strumento per sistemare il mondo circostante. La lingua testimonia cosí le stratificazioni del tempo, protrae nel presente immagini e pareri condivisi e sedimentati nei modelli sociali e culturali del passato.
«Leggere un dizionario etimologico è come leggere un romanzo. Mi piace talvolta scorrerlo a caso, senza uno scopo preciso. Si fanno incontri inattesi tra parola e storia, tra lingua cultura e società. Apri alla lettera s e trovi che la parola salario risponde all’usanza nell’antica Roma di pagare le truppe con una certa quantità di sale, ingrediente prezioso per conservare i cibi. Alla lettera a t’imbatti in abbacchio, piatto tipico della cucina romana: è l’agnello da latte, e cosí si chiama perché viene dal lat. ab baculum “vicino al bastone”: dieci giorni dopo la nascita, sino al quarto mese, i piccoli erano tenuti legati a un bastone, un paletto che evitava loro di saltellare qua e là e farsi male. Sfogliando ancora, alla g t’imbatti nell’agg. genuino, che risale al lat. genu «ginocchio», perché nell’antica Roma il figlio legittimo era dichiarato di fronte a testimoni «vero, autentico, genuino» dopo il gesto rituale che consisteva nel sollevarlo in alto e poggiarlo sulle proprie ginocchia.
A tratti la spiegazione dell’etimologista volge decisamente al poetico, come quando leggi che embrione, coniato sul gr. enbryein, significa «ciò che fiorisce dentro»; e che nubile viene dal latino nubile(m), a sua volta dal verbo nubere, “sposarsi”: le nozze in latino sono le nuptiae, ma hanno la stessa radice di nubes “nube”, perché la sposa veniva velata, come fanno le nubi quando coprono il cielo e la luce».