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Materiali mitologici
Il libro
«Alla domanda: non le viene voglia di scrivere un romanzo? L’autore di questo libro può solo rispondere: non smetto mai di scriverlo». È con la forma aperta del grande romanzo tardoantico che Furio Jesi compone, in quello che resta forse il suo libro piú significativo, i saggi scritti lungo tutto l’arco degli anni Settanta. In questa seconda silloge einaudiana, dopo Letteratura e mito (1968), egli non solo ripercorre, in un intreccio serrato con la visione di Károly Kerényi, la genesi del proprio metodo, ma lo mette alla prova indagando alcune esemplari scritture «mitologiche» dell’Europa moderna: unisce alla geniale interpretazione del Buon soldato Sveik una triade di notevoli letture di Thomas Mann; si avvicina, fin quasi all’identificazione, al Wittgenstein critico di Frazer; scopre una vera e propria antropologia allegorica nelle pagine di Elias Canetti; elabora un modello cognitivo, la «macchina mitologica», tanto piú efficace in quanto capace di rovesciarsi a sua volta in oggetto di conoscenza. Lontano dalla cultura italiana dominante, in dialogo con alcuni grandi maestri – Georges Dumézil, lo stesso Kerenyi, e Gershom Scholem -, Jesi appare, nelle prefazioni inedite che arricchiscono questa edizione, sotto l’aspetto inconsueto dello studioso che riflette sulla propria prassi scrittoria, e ne rivela la natura paradossale, scientifica e artistica insieme.